Il Codice di Camaldoli è troppo spesso invocato come esperienza da ripetere per uscire dalla crisi dentro cui versa la democrazia.
Avendolo studiato a fondo ritengo che questo “sogno” rischia di trasformarsi in un “miraggio”: la storia e la cultura del 1946 non sono più la nostra, i gravi problemi di allora non sono più i gravi problemi di oggi. Non serve ripetere l’esperienza del Codice di Camaldoli, in quel gruppo di uomini era chiaro un proceduralismo di regole e un patto implicito che concepiva la democrazia come sostanza… che oggi non sono più scontati.
Ma andiamo con ordine per capire perchè è datato ma anche cosa ci lascia in eredità!!!
Quando e come è nato?
Dal 18 al 24 luglio 1943 il Gruppo dei Laureati Cattolici, guidato da mons. A. Bernareggi, assistente dei laureati dell’Azione Cattolica, tenne a Camaldoli il suo sesto raduno che si rivelò decisivo per la Costituente.
Le tragiche vicende legate alla caduta del fascismo ed il successivo armistizio costrinsero gli estensori degli enunciati a modificare i progetti iniziali e ad adattarsi alle contingenze. Così la riunione di Camaldoli fu interrotta con un giorno di anticipo (il 23 luglio), e fu completata a Roma sotto la guida dell’Icas (Istituto cattolico di attività sociale), nella primavera del 1945 dando come frutto il testo[3].
L’intera materia da affrontare, che a Camaldoli era stata distribuita in tre macro-aree tematiche affidate al lavoro dei gruppi di studio (vita civile, vita familiare e vita economica), venne ripresa e sviluppata attraverso un metodo di lavoro ben definito, che anticipò l’approccio introdotto dalla Dottrina sociale della Chiesa con l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII. Gli autori, infatti, preferirono il metodo induttivo, rispetto a quello deduttivo, prevalente nei documenti ecclesiali dell’epoca[4].
Assunsero il rischio tipico dei pionieri chiamati a confrontarsi responsabilmente con gli imperativi della propria coscienza in dialogo con la realtà di problemi sempre nuovi di ordine politico ed economico. Riuscirono a individuare una serie di valori per un ordine sociale non solo astrattamente giusto ed umano, ma anche concretamente e storicamente possibile, che colmava il distacco fra l’enunciazione teorica e l’applicazione pratica.
Le disposizioni e i valori del Codice di Camaldoli
La struttura del Codice era formata da un’introduzione di carattere fondativo e da sette nuclei tematici. Nella parte introduttiva, intitolata: «Premessa sul fondamento spirituale della vita sociale», si ribadiva la centralità della persona umana come valore indisponibile che precede qualsiasi pretesa da parte della Stato[6]. Era evidente la presa di posizione contro le pretese assolutizzanti dello Stato etico nazi-fascista, così come dei regimi comunisti.
Il riferimento filosofico e antropologico era il personalismo comunitario che conciliava le esigenze della persona con la sua indole relazionale e sociale, contro la deriva individualistico-libertaria, lontana da quell’ordine sociale ispirato cristianamente[7].
I sette nuclei tematici del Codice includevano i grandi temi su cui si doveva basare una Costituzione di un Paese democratico:
lo Stato;
la famiglia;
l’educazione;
il lavoro;
la destinazione e la proprietà dei beni materiali: la loro produzione e il loro scambio;
l’attività economica pubblica;
la vita internazionale[8].
È sorprendente come molti dei 76 enunciati abbiano ispirato a livello morale i costituenti della Prima e della Terza Sottocommissione della Costituente.
La parte iniziale che ispirò i princìpi della Costituzione si centra sulla categoria della relazione. Il Codice, inizia affermando: «L’uomo è un essere essenzialmente socievole: le esigenze del suo spirito e i bisogni del suo corpo non possono essere soddisfatti che nella convivenza».
La società si deve fondare non su «una somma di individui» ma «sull’unione organica di uomini, famiglie e gruppi determinata dallo stesso fine, il bene comune e dall’effettiva convergenza delle volontà umane verso la sua attuazione, sotto la guida di un principio autoritario proprio» (n. 3).
La società organizzata a Stato è «un’unità d’ordine» (n. 4) e il suo fine «è la promozione del bene comune» (n. 6). Da questo discende che «la sovranità statale non è illimitata, i suoi confini sono segnati dalla sua ragione di essere che è la promozione del bene comune» (n. 8) mentre le funzioni specifiche dello Stato devono essere quelle, «dell’organizzazione e della tutela del diritto e dell’intervento della vita sociale» (n. 13).
Tra i punti di rilievo a livello morale c’è quello che tocca la coscienza. I redattori del Codice sottolineano che la dignità della persona, come essere relazionale, oltre ad aver bisogno per esprimersi di una società e di essere tutelata da uno Stato, deve coscientizzare la bontà della norma e, per favorire il bene comune, può addirittura obiettare per «limitazioni e rinuncia» (n. 12) davanti a disposizioni precise. La libertà di coscienza era già nel 1943 «un’esigenza da tutelare fino all’estremo limite della compatibilità col bene comune» (n. 13).
Nella parte dedicata al «campo politico» si sottolinea come i cittadini non siano sudditi ma per esserlo debbano «perseguire il proprio interesse tenendo conto delle esigenze superiori del bene comune» a tal punto che il Codice prevede anche il dono della vita, valore assoluto per il Vangelo, in favore degli altri consociati: «I singoli sono tenuti a sacrificare se stessi anche fino a rimettervi la propria terrena esistenza, quando fosse necessario per il bene generale della comunità» (n. 25).
Sui rapporti Chiesa e Stato il Codice getta le basi dell’attuale art. 7 Costituzione che regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa: «Chiesa e Stato hanno due fini diversi. La Chiesa rigenera gli uomini alla vita della Grazia nel tempo e li guida al pieno possesso di Dio nell’eternità; lo Stato mira a provvedere gli uomini di una sufficienza di beni terreni e coopera al progresso in ogni campo» (n. 27). «Lo Stato deve riconoscere la missione divina della Chiesa, acconsentirle piena libertà nel suo campo, regolare di comune accordo lealmente le materie miste […] informare la sua molteplice attività ai princìpi della morale cristiana» (n. 28).
La famiglia e la scuola sono concepiti come le due istituzioni educatrici della società. La parte della famiglia sembra essere la più datata. Il matrimonio, su cui si basa, è soggetto al regime della Chiesa e doveva essere indissolubile anche per la legislazione, mentre allo Stato spetta il compito di aiutarla, custodirla, spingerla nell’adempimento dei suoi doveri, supplire alle sue deficienze, completare la sua opera nell’ordine civico (cfr n. 5).
La parte dedicata alla «vita economica» è quella che inspirò E. Vanoni e A. Fanfani nella III Sottocommissione della Costituente. Essa si struttura su otto princìpi morali:
«1) la dignità della persona umana, la quale esige una bene ordinata libertà del singolo anche in campo economico;
2) l’eguaglianza dei diritti di carattere personale, nonostante le profonde differenze individuali, provenienti dal diverso grado di intelligenza, di abilità, di forze fisiche ecc.;
3) la solidarietà, cioè il dovere della collaborazione anche nel campo economico per il raggiungimento del fine comune della società;
4) la destinazione primaria dei beni materiali a vantaggio di tutti gli uomini;
5) la possibilità di appropriazione nei diversi modi legittimi, fra i quali è preminente il lavoro;
6) il libero commercio dei beni nel rispetto della giustizia commutativa;
7) il rispetto delle esigenze della giustizia commutativa nella remunerazione del lavoro; 8) il rispetto della esigenza della giustizia distributiva e legale nell’intervento dello Stato» (n. 3).
Un’ulteriore elemento di novità è quello di aver accolto la logica del gioco democratico ed il ruolo regolatore e perequativo dello Stato nel garantire la giustizia sociale per tutti, specialmente per i più poveri. In questo senso si è parlato di «terza via», come una delle scelte qualificanti introdotte nell’ordinamento statale, proposta dal Codice di Camaldoli [9].
Il testo contiene anche il rifiuto dell’antico «diritto di guerra» per promuovere la pace e la giustizia fra i popoli, chiede una limitazioni della sovranità nazionale a favore di organizzazioni sopra-nazionali.
Il testo si chiude con una parte sull’emigrazione, in cui prevede che lo Stato si adoperi per proteggere gli emmigrati «durante il loro esodo», favorirne la crescita e tutelarne i risparmi e le rimesse.
Allo stesso modo, è sorprendente leggere nel testo come «lo Stato deve accordare agli stranieri emigrati nel suo territorio, rispetto e tutela»; ha poi il compito di promuovere la legislazione internazionale del lavoro «secondo i princìpi di una giustizia sociale per favorire una effettiva solidarietà tra tutti i popoli» e favorire l’assistenza spirituale agli immigrati «a mezzo delle speciali istituzioni a questo fine promosse dalla carità cristiana e provvedendoli di scuole nazionali».
L’insegnamento per l’oggi…
Il Codice di Camaldoli ha offerto una proposta anzitutto etica, che aveva la forza di basarsi su un’ispirazione, una visione di democrazia, intorno a una serie di valori condivisi. Si trattava di un gruppo di persone legate tra loro da stima e da fiducia, con l’obiettivo di pensare insieme «uno dei sistemi rispondenti al pensiero sociale della Chiesa, non “il” sistema».
Poi, ulteriore punto di forza, è stato quello dell’autonomia del gruppo dalla politica partitica.
[3] I principali esponenti redattori del Codice furono: Giuseppe Capograssi, Ludovico Montini, Gesualdo Nosengo, Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni. Essi si avvalsero della competenza e della consulenza di due teologi: mons. Emilio Guano, vice assistente del Movimento Laureati di Azione Cattolica, e p. Ulpiano López, gesuita e docente presso l’Università Gregoriana di Roma. I lavori furono seguiti da mons. Bernareggi, vescovo di Bergamo ed assistente generale del Movimento Laureati, fino a quando le comunicazioni furono possibili, e da mons. Montini già assistente della Fuci e sostituto presso la Segreteria di Stato Vaticana.
[4]G. Maggi, «Una proposta dei cattolici per l’Italia dopo il fascismo: il “Codice di Camaldoli”», in Humanitas 37 (1982) n.4, 667-668. Il testo venne pubblicato nel 1945, un anno prima dell’inizio della Costituente. Per la mancanza di carta nei negozi, si stamparono le pagine pari, lasciando bianche le dispari per permettere al lettore di appuntarle o annotarle. L’edizione si esaurì nel giro di poche settimane, in realtà il testo non fu letto da molti, ma produsse molti frutti.
[6] Cfr. M. L. Paronetto Valier, «Il Codice di Camaldoli» in G. Rossini (ed.), Democrazia cristiana e Costituente, Roma, Cinque Lune, 1980, 247. Così commenta la più autorevole studiosa del Codice: «Nei vari articoli del Codice l’affermazione del valore della persona si esplicita nella rivendicazione della libertà per ciascuno e della eguaglianza per tutti e l’eguaglianza si afferma a sua volta come sostanziale esigenza di tutela e di garanzia, da un lato, di apertura e sviluppo, dall’altro. Base dell’eguaglianza sostanziale e condizione per superare e abolire ogni forma di privilegio, una nuova concezione del lavoro. Accanto alla democrazia politica, pertanto una democrazia economica, implicante, già al livello della legge fondamentale, una impostazione dei rapporti economici tale da superare le concezioni dello stato liberale e gli schemi liberistici».
[7] Cfr M. L. Paronetto Valier, «La redazione del Codice di Camaldoli», in Civitas 4 (1984), 14-15.
[8] Cfr G. Campanini, «Dal Codice di Camaldoli alla Costituzione. I cattolici e la rinascita della democrazia», in Aggiornamenti Sociali, 5 (2006), 404. L’A. riassume in tre grandi nuclei tematici i contenuti del Codice: il primo è rappresentato dall’affermazione della dignità della persona e del suo primato rispetto allo Stato. Il secondo dato è centrato sul carattere aconfessionale dello Stato. Per i credenti non vengono rivendicati privilegi, ma è richiesto il pieno rispetto della libertà religiosa da parte dello Stato e delle sue istituzioni. Il terzo aspetto emergente riguarda la sfera dei rapporti economico-sociali.
[9] Questo «interventismo statale» non ha mancato di suscitare, nel corso degli anni successivi, non poche critiche per tanti mali italiani come l’assistenzialismo di Stato per le regioni del Sud, l’eccessivo statalismo, una specie di «comunismo cristiano», sia pur tacito e implicito.
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Oggi abbiamo la Gaudium et Spes e la possibilità, grazie anche a 62 gaudium et spes, di parlare un linguaggio universale dell’uomo di oggi a cui trasmettere una meravigliosa narrazione del creato e dell’Amore di Dio per ognuno e per ciascuno …
Sono i linguaggi decodificati mediante la psicologia e la sociologia.
Giuseppe