La crisi delle appartenenze politiche rischia di contagiare le stesse istituzioni democratiche e la democrazia rappresentativa. Il 63% degli italiani ha recentemente dichiarato di non credere più né alla «destra» né alla «sinistra», che, tra i due «Ottantanove» (1789 e 1989: dalla Rivoluzione francese alla caduta del Muro di Berlino), hanno conformato schieramenti e partiti. Eppure in questa campagna elettorale sono riesplosi i termini “destra” e “sinistra”.
È vero il significato dei termini «destra» e «sinistra» è fragile; sono stati i deputati dell’Assemblea nazionale francese, nel maggio del 1789, a risignificare questa coppia di parole per indicare una differenza politica: a destra del presidente dell’Assemblea si schierano i conservatori e i difensori della monarchia, guidati da Pierre-Victor de Malouet; a sinistra si posizionano i riformatori e i rivoluzionari di Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau. È la forma dell’aula parlamentare, strutturata ad emiciclo, nella quale il governo siede al centro, spalle alla Presidenza, a favorire spontaneamente il sorgere di questa forma di cleavage.
E, non a caso, la distinzione fra destra e sinistra era del tutto assente nella tradizione del Parlamento di Westminster, esperienza d’origine del parlamentarismo moderno: qui, da sempre, l’aula è rettangolare, con il governo posizionato in mezzo, e sorge, così, una differenziazione diversa e altrettanto spontanea, tra chi “fronteggia” la compagine del Gabinetto – His Majesty’s Loyal Opposition – e chi “sostiene” i ministri in carica, sedendo alle loro spalle. Le parole “right” e “left”, con lo stesso significato che in Europa continentale, entreranno nel lessico della politica britannica solo molto più tardi, nel tardo Ottocento, con il tramonto della tradizionale contrapposizione tra le due fazioni che storicamente avevano popolato il paesaggio politico inglese: i “whigs” e i “tories”.
In Italia, le categorie di «destra» e di «sinistra» si sono consolidate a partire dalla metà dell’Ottocento, ma sono state le varie stagioni politiche a definirne i contenuti e i confini.
In Italia, la sinistra politica si forma con Mazzini e il mazzinianesimo per uno Stato repubblicano, unitario e rivoluzionario; la destra costituzionale nasce rappresentata dalla borghesia monarchica e conservatrice. Dall’idea originaria di sinistra sorgeranno i partiti radicale e repubblicano che, sino alla nascita del partito socialista, rappresenteranno l’estrema sinistra italiana.
La destra italiana è stata nutrita da diverse radici: quella anticlericale di Siccardi, quella monarchica e quella liberale di Cavour; la sinistra, a sua volta, è stata nutrita da un’anima democratica (quella di Agostino Depretis), una moderata (quella di Urbano Rattazzi) e una intransigente e rivoluzionaria, antisabauda. Nel 1852 la sinistra di Rattazzi e la destra di Cavour, invece di accentuare le loro differenze verso le ali estreme, si spostarono verso il centro politico, per dare vita al centrosinistra e al centrodestra, e così governare il Paese.
Il centrodestra, la destra liberale, governò l’Italia postunitaria dal 1861 al 1876, organizzando le istituzioni, intervenendo sulle finanze e investendo in infrastrutture. La sinistra moderata di Depretis, una sorta di centrosinistra – erede del pensiero mazziniano e garibaldino –, iniziò a governare nel 1876, riformando l’istruzione elementare obbligatoria e il fisco, introducendo misure di protezionismo economico ed estendendo la base elettorale.
Tuttavia, tra un governo e l’altro, non furono pochi i deputati di destra che «saltarono» a sinistra, rendendo opaca la divisione che distingueva le due aree. Nihil sub sole novum, se anche durante la XVII legislatura 304 deputati e 236 senatori hanno cambiato gruppo parlamentare, abbandonando il partito nel quale erano stati eletti.
Con il partito socialista, nato nel 1892, la sinistra diventa un prisma dalle molte facce: la parte anarchica, quella repubblicana e quella socialista, che a sua volta si divide in moderata, revisionista e riformista di Turati. Le gradazioni di rosso hanno impedito la nascita di una sinistra unitaria, così come è capitato per le gradazioni di nero della destra, che, a partire da quella guidata da Giolitti, ha cambiato natura nei primi anni del Novecento, con l’avvento del nazionalismo e dell’imperialismo europeo.
Per la cultura italiana, quindi, «destra» e «sinistra» hanno anzitutto un significato convenzionale, sono «immagini spaziali, sprovviste di ancoraggio semantico, contenitori vuoti aperti a tutti i travasi e contenuti»[1]. Nei totalitarismi, il significato di «destra» e «sinistra» è funzionale al potere; nei fascismi, addirittura il loro significato si fonde: «Mutuano dal nazionalismo miti e simboli combattentistici e autoritari, dal socialismo la spinta partecipazionistica e polemica anti-capitalista, dal centro l’esigenza di una stabile governabilità»[2]. È noto che Mussolini e i suoi erano stati eletti a sinistra come socialisti, ma in Parlamento si sono seduti all’estrema destra.
Tuttavia l’evoluzione storica di queste categorie ci permette di ricostruire il loro minimo comune denominatore. La «destra» politica si caratterizzava per i valori della libertà e del merito, il richiamo alla tradizione e alla gerarchia, la promozione dell’autodeterminazione individuale e la proprietà privata, la giustificazione delle disuguaglianze di ceto, di cultura, di reddito. L’aristocrazia si riconosceva nella destra per il prestigio e per un’idea sacrale di politica; i ceti medio-alto borghesi, invece, hanno fondato la destra sull’ordine, il rigore e la giustezza.
La «sinistra» si è storicamente caratterizzata per l’emancipazione delle masse e i valori dell’uguaglianza e della solidarietà tra le classi sociali, per la promozione dei diritti soggettivi e le riforme sociali, per il desiderio di promuovere la dignità e «rendere più eguali i diseguali», come affermava Norberto Bobbio[3].
Le principali antinomie che nella storia hanno distinto «destra» e «sinistra» si possono riassumere in questi termini: libertà e uguaglianza, pensiero liberale e aspirazioni sociali, valore delle autonomie e ruolo dello Stato, spirito conservatore e forza progressista, tradizione e innovazione, passato e futuro, privato e pubblico, capitale e lavoro, natura e storia, gerarchia e uguaglianza, autorità e libertà. Cosa è però rimasto nella cultura politica di tutto questo?
[1] G. Sartori, «Destra e Sinistra», in Dizionario delle idee politiche, a cura di E. Berti – G. Campanini, Roma, Ave, 1993, 177.
[2] Ivi, 180 s.
[3] Cfr N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione, Roma, Donzelli, 1994.