Partire è, innanzitutto, uscire da sé stessi.
Spezzare quella crosta di egoismo
che tenta di rinchiuderci nel nostro “io”.
Partire è smettere di girare attorno a noi stessi,
come se fossimo al centro del mondo e della vita stessa.
Partire è non lasciarsi chiudere
dal piccolo mondo cui apparteniamo:
qualunque sia la sua importanza, l’umanità è più grande,
ed è a lei che dobbiamo tendere, è lei che dobbiamo servire.
Partire è aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro.
Aprirsi alle idee,
anche quando queste sono contrarie alle nostre,
è come possedere il fiato di un buon camminatore.
Beato chi comprende e fa suo questo pensiero:
“Quando non sei d’accordo con me, mi arricchisci”.
Avere al proprio fianco qualcuno
che sa dire soltanto “va bene”,
che è sempre d’accordo, incondizionatamente fin dall’inizio,
non vuol dire avere un compagno, ma piuttosto un’ombra.
Quando il disaccordo non è sistematico e voluto,
ma viene da una visione differente delle cose,
allora può soltanto arricchire.
Un buon camminatore
sa che il grande viaggio è quello della vita,
e che questo presuppone dei compagni.
“Compagno”:
etimologicamente è quello con cui si divide lo stesso pane.
Beato chi si sente eternamente in viaggio
e in ogni prossimo vede un compagno di viaggio.
Un buon camminatore si preoccupa dei compagni stanchi…
Previene il momento dello scoraggiamento.
Li prende là dove li trova. Li ascolta.
Con delicatezza, intuito e soprattutto amore,
fa loro riprendere coraggio e ritrovare il gusto per il viaggio.
Andare avanti per andare avanti, così semplicemente,
non è ancora un vero viaggio.
Occorre andare alla ricerca di uno scopo;
prevedere un arrivo, un punto di sbarco.
Per noi discendenti di Abramo,
partire significa mettersi in movimento,
per aiutare tanti altri a mettersi in movimento
e costruire insieme un mondo più giusto ed umano.
Dom Helder Camara