Anzitutto grazie per l’invito al prof. Leonardo Becchetti, a chi ha organizzato, e a voi che siete qui. Insieme stiamo facendo un’esperienza, quella nella quale ci riconosciamo senza conoscersi… e nella storia quando le comunità si formano e scommettono su quei valori che ci rendono più umani, la storia cambia.
Ieri il prof. Becchetti ce lo ha ricordato: l’economia civile bisogna saperla comunicare…
Dobbiamo chiederci allora: come facciamo a comunicare l’economia civile e i suoi valori nel tempo della post-verità? Lo sappiamo l’Oxford English Dictionary nel 2016 definisce la comunicazione nel tempo della post-verità con queste parole: «I fatti oggettivi sono meno influenti nel formare la pubblica opinione degli appelli a emozioni e delle credenze personali».
Alle minoranze sono stati spenti i microfoni, parlano solo pochi leader, il pensiero è schiacciato tra il mi piace e il non mi piace, tutto è disintermediato, anche l’informazione.
Infosfera dice nel suo rapporto che quasi l’80 % delle persone non sanno distinguere una notizia vera da una falsa.
Dobbiamo dunque ripartire da qui, l’informazione è un bene comune deve rispondere all’interesse pubblico, alla correttezza e all’utilità sociale della notizia.
L’uso delle parole dice che mentre comunichiamo noi ci comunichiamo, i nostri modi, lo stile, la nostra intenzionalità. Non parole di propaganda che usano come oggetto il popolo, ma parole come testimonianza di ciò che crediamo, speriamo, sogniamo, amiamo…
Non mettere benzina sulle parole che sono lanciate come fiammelle che possono distruggere intere foreste, mettono in questione la reputazione delle persone, istigano la violenza, toccano le paure, irridono i dati scientifici, iniettano sospetto sui fatti, inventano le «bufale»… questa strategia svuota la memoria di un popolo…
GLI ANTIDOTI
L’antidoto allora è fare un lavoro di connessione tra noi in cui nella mia comunicazione c’è il mio il comunicarsi. Lo ripeto. Invertire la regola delle cinque “S” che impone di parlare di sesso, soldi, sangue, spettacolo e sport per fare audience.
Occorre investire sulle 5 E: 1. Economia (civile, con i suoi valori la fiducia la gratuità, la reciprocità…); 2. ecologia (intesa come sviluppo umano integrale che include la vita spirituale); 3. esperienze (testimonianze); 3. emozioni (affetti e volontà incluse); ekstasis (l’uscita da se che porta verso l’altro).
La sfida per noi è una questione di sguardi e di linguaggio, ha affermato Paolo Ruffini. È «saper vedere ciò che altri non vedono, mettere in rete ciò che altri scartano, essere sale e lievito che non addormentano, ma aiutano conoscenza e trasformazione». Possiamo ripartire da qui.
LE TRE CONDIZIONI NECESSARIE
La prima è quella del discernimento. Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo, ci impone di fermarci su una sua riflessione: «Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più».
Tra principi e realtà, tra il fenomenologico e il fenomenico, dobbiamo imparare a discernere insieme per scegliere insieme. Il papa citando Casiano il romano dice che la nostra mente è come una macina di un mulino, siamo noi che decidiamo se macinare grano o zizzania, se produrre pane o qualcosa di contrario.
Il male promette, ti da quello che ti promette, usa e poi ti accusa, lasciandoti più vuoto di prima (metteteci corruzione, le varie illegalità, le infedeltà, le scalate al potere…)
Costruendo il bene viene donata pace, forza, libertà, serenità… che rigenera i beni relazionali autentici.
Seconda condizione: il prossimo. Cosa succede se in una cultura se l’dea del prossimo muore? L’altro diventa un pericolo. E tu non vedi più il vicino, la persona che vedi, senti e tocchi e non vedi i suoi bisogni a cui l’economia risponde. Questo aumenta la solitudine e il tasso di conflitto. Occorre nell’epoca del cattivismo ritornare ad essere prossimi.
Terza condizione. La compassione. Per la Chiesa si diventa comunicatori attraverso la dimensione della commozione. In quale modo? Attraverso l’esperienza del buon samaritano, che comunica in forza di un’esperienza vissuta, caratterizzata dalla sequenza dei 10 verbi utilizzati dall’evangelista Luca al capitolo 10: lo vide, si mosse a pietà, si avvicinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò… fino all’undicesimo verbo: «al mio ritorno salderò».
È, questo, un decalogo del comunicatore che vuole creare economia civile.
Altrimenti, ricorda il Papa: «Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada!”.
L’economia civile, che chiaramente la Chiesa appoggia come forma di nuovo modello di sviluppo, è invece fare esattamente quello che ha fatto il samaritano. Tutto questo dipende da noi e farlo diventare cultura in cui all’altro diciamo “credilo con noi”.