I primi eclatanti germogli della democrazia diretta –
in cui i cittadini possono esercitare direttamente il potere legislativo senza alcuna intermediazione – sono già spuntati. Non era mai successo che il Parlamento approvasse una legge di bilancio – ci riferiamo a quella dello scorso dicembre – senza averla discussa ed emendata. È stato un voto telepilotato su una scelta binaria: scegliere in blocco quello che il Governo proponeva oppure respingerlo.
La storia insegna che la democrazia diretta si espande quando la classe politica da popolare diventa aristocratica. Giusto. Tuttavia la qualità del mezzo non va confusa con chi non lo sa utilizzare.
Occorre dunque fermarci e riflettere pacatamente sulle conseguenze per andare oltre gli slogan. Veniamo al merito. Sono tre dunque i principali rischi connessi alla democrazia diretta: favorire i cittadini «produttivi» e penalizzare i deboli e i non connessi alla rete; ridurre la libertà di scelta a un «sì» e un «no»; contrapporre la volontà popolare a quella parlamentare.
Anzitutto nella democrazia diretta le proposte non vengono fatte dai “cittadini”, ma da gruppi o comitati che spesso gestiscono in rete un portale e sono satelliti della politica (gruppi, think tank, associazioni ecc.). La libertà del cittadino è messa davanti a un’alternativa secca: scegliere tra un sì e un no. Nella democrazia rappresentativa, invece, davanti a una legge da approvare l’eletto esprime dubbi, critiche, fa sintesi di pro e contra discussi. Cosa capiterebbe se si portasse la popolazione a decidere direttamente sui temi sensibili legati alla bioetica, ai vaccini, al fine vita, alla tassazione, alla scuola ecc., ossia sui temi che richiedono mediazione politica? Basterebbero pochi poteri forti e qualche slogan per condizionare il voto. La proposta di legge in discussione in Parlamento prevede dei limiti di materia e un controllo a monte fatto dalla Corte Costituzionale. Ma sono solo argini che potrebbero essere abbattuti.
Secondo punto: le forme di democrazia diretta moltiplicano la presenza delle lobby, gruppi di interessi che sollecitano una proposta per i propri interessi particolari, finanziando prima la campagna di raccolta firme e poi quella elettorale per l’approvazione. Ma così, il referendum propositivo diventerà il risultato della volontà di (ricche) minoranze organizzate.
Terzo punto: se si proporranno temi “emotivi” che la popolazione vuole sentire e verso cui è disposta a consegnare il proprio consenso, il pathos della politica prevarrà sul logos su cui si basano i diritti costituzionalmente protetti delle minoranze. I giudici conteranno più dei politici, dovranno dirimere quei diritti che si sono formati “cavalcando” le emozioni del popolo.
Ultimo punto: i responsabili delle scelte nella democrazia diretta rimarranno senza volto, la responsabilità è sempre scaricata sul “popolo” o sui “cittadini” (in generale!). Il responsabile dell’indirizzo politico che emerge dal voto non saranno coloro che lo hanno davvero proposto o sponsorizzato (i gruppi organizzati, anche online), ma sarà la “volontà generale”, che nasconde sempre la volontà di un “generale”.
Il destino del vice premier Salvini affidato tra le braccia della piattaforma #Rousseau (forma di democrazia diretta) ha fatto sì che si decidesse se il potere legislativo permette al potere giudiziario di processare il potere esecutivo. Mai successo.
I meccanismi della rappresentanza sono invece chiari: in Parlamento la legge è presentata da un parlamentare, i lavori di discussione sono pubblici e accessibili in Rete, il testo è firmato dai parlamentari, dibattuto pubblicamente e votato dai rappresentanti politici di culture politiche diverse.
La disintermediazione operata dalla democrazia diretta è destinata a umiliare l’applicazione dei principi di sussidiarietà, solidarietà e di uguaglianza in cui crede la Dottrina sociale della Chiesa.
Se l’impasse in cui versa il Parlamento è il sintomo di una malattia del sistema politico, la cura non può essere il vento freddo della democrazia diretta, che lo congelerebbe dall’interno. Per introdurre gli strumenti di democrazia partecipativa, occorre farlo «in favore di» e non «contro» qualcosa o qualcuno.
Per approfondire La Civiltà Cattolica e il Sussidiario