Democrazia e informazione: una breve intervista sul tema per la stampa locale di Treviso.
D. Le democrazie oggi sono messe in discussione dalla emergente cultura politica e dai populismi europei. Sembra che si stia scardinando il rapporto tra governanti e governati, tecniche e procedure prevalgono sui valori e sui sogni collettivi. Esiste concretamente, oggi, un rischio per la nostra democrazia?
R. Dipende. I populismi europei sono onde che si abbattono su tutto ciò che è governo e istituzioni. Ma sono anche «una sorta di “malattia senile della democrazia”. Il sintomo di una crisi di rappresentanza che si estende alla forma di democrazia stessa». Se si rilancia il bene fiducia ed è più forte il desiderio di ricostruire rispetto alla volontà di distruggere allora una speranza c’è. Ma occorre volerlo.
Il rischio è se prevalgono la rabbia, la paura e l’impoverimento delle classi medie, che si percepiscono bloccate in autostrada nella corsia centrale, mentre nella corsia di sorpasso le auto delle classi ricche sfrecciano veloci e nella corsia di marcia più lenta procedono solo quanti stanno male.
Politica di governo e populismi sono come due vasi comunicanti: quanto più la prima omette di dare risposte ai problemi sociali, tanto più crescono i populisti e le loro soluzioni semplicistiche. La gente non vota mai contro i propri interessi, ma sull’onda del malessere diffuso, del disagio e della paura dei cambiamenti.
D. I populismi stanno emergendo ovunque e trovano le loro radici nei meccanismi, non sempre controllabili, dell’ informazione, che raggiungono, senza filtri, ampie e diversificate fasce di popolazione. E’ d’accordo con questa ipotesi? C’è una responsabilità da parte dei media, nuovi e vecchi?
R. La rete ha cambiato la costruzione dell’opinione pubblica politica che nel tempo dei populismi cresce con azioni precise: istigare la violenza (hate speech), ridicolizzare le voci delle istituzioni, toccare le emozioni e le credenze (più irrazionali) degli utenti, iniettare sospetto sui fatti, inventare le «bufale» (fake news). L’82% degli italiani non sa distinguere una notizia falsa da una vera. Il terreno fertile nel quale i populismi crescono è proprio nei social net-work senza filtri, in cui si forma il consenso (politico), si alimentano le paure e si consolidano le identità. Ma tutto lontano dai fatti: contano, invece, le emozioni e le credenze. Si usano le parole come pietre e si distrugge la reputazione degli altri, non le idee.
C’è una percezione della realtà che ha bisogno di slogan e soluzioni immediate e tocca le tante paure; c’è una realtà complessa che ha bisogno di studio, alleanza tra saperi e la volontà di costruire più che distruggere.
Hannah Arendt ha scritto nel suo volume Le origini del totalitarismo, parole che ci impongono di fermarci: «Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più».
La sfida per noi è una questione di sguardi e di linguaggio, è saper vedere ciò che altri non vedono, mettere in rete ciò che altri scartano, dare voce a chi non ce l’ha, essere lievito che fa crescere la conoscenza e il buon governo. Possiamo ripartire da qui.
D. In questa ondata populista che investe il Veneto – da sempre in prima fila per l’autonomia – ma anche l’intera nazione, l’Europa ed il mondo intero, si percepisce un “rancore sociale” che desta timori e genera una sfiducia collettiva che mina nel profondo la coesione sociale. Da dove nasce? E per quali motivazioni?
R Nasce dalla paura verso il futuro e dalla percezione di essere invasi, senza guardare e capire cosa sta avvenendo nel mondo. Questa però è la dinamica degli struzzi che mettono sotto terra la testa pensando di salvarsi e di non farsi vedere. Il mondo è interconnesso, il mio destino lo condivido con quello degli altri. Così l’autonomia presente nella cultura veneta può avere due volti, l’ “autonomia da”, quella che si fonda sull’egoismo. Oppure da un’ “autonomia per” gli altri che è la ricerca di forme di governo sussidiarie mature e solidali.
D. Noi – organizzatori di questo incontro – rappresentiamo le Associazioni di categoria (17 sigle in tutto), ovvero quei corpi intermedi deputati alla mediazione tra imprese e governo, oggi messi a dura prova dai vari tentativi di delegittimazione. Tuttavia, noi crediamo ancora in un futuro improntato alla rappresentanza, in nome di una democrazia che guarda ai corpi intermedi come ai principali facilitatori. Come vede il futuro della rappresentanza? Quali sono gli approcci più corretti da adottare per contribuire alla crescita della società e delle imprese?
R Il Paese tiene ancora per la vostra forza silenziosa. Ma occorre non sottovalutare i rapidi cambiamenti. Una caratteristica comune ai populismi è la disintermediazione: al loro interno, con la loro struttura verticistica, le forze populiste rigettano l’intermediazione di chi rappresenta altri cittadini portatori di interessi sociali, come siete voi, ma anche la Chiesa, le ong ecc.. Mentre le principali Costituzioni democratiche si fondano sulla rappresentanza di enti intermedi che interagiscono e mediano valori e interessi sociali con le istituzioni i populisti invece vogliono incontrare direttamente i cittadini, ignorando chi li rappresenta. L’antidoto è fare squadra e presentarsi come una comunità pensante e con visione di futuro, far prevalere i doni che si hanno, vincendo le competizioni e i protagonismi, veri mali del nostro tempo. E poi investire su tanta tanta formazione che permetta di includere per vivere sotto la stessa legge come persone libere e responsabili verso gli altri.
D. Tra le definizione di questa epoca, ci ha colpito quella “delle passioni tristi”. Lei, se dovesse definire questo momento storico facendo sintesi con tre parole o tre aggettivi, quali userebbe?
1. Il tempo della “violenza verbale”, sperando si limiti a questo.
2. “Spinte di chiusura”, che ci costringeranno a vivere tra le mura che stiamo costruendo
3.”Desiderio generativo” che è presente nei giovani che ci insegnano che il futuro è sempre nell’al-di-là dell’orizzonte della propria esistenza.