Jan Patočka, anche detto il “Socrate di Praga”, nasce nel 1907 a Turnov in Boemia da una famiglia modesta ma colta. Dopo la maturità si iscrive all’Università di Praga, dove studia filologia romanza e slavistica, ma mostra, quasi fin da subito, uno spiccato interesse per la filosofia e, in particolare, nei confronti della fenomenologia. Prosegue poi i suoi studi divenendo allievo di Husserl e Heidegger. Molto attivo nella vita accademica e politica del suo paese, sostiene con decisione l’ascesa al potere di Alexander Dubček, leader antiautoritario e riformista, nel 1968 durante la Primavera di Praga. Aderisce nel gennaio del ‘77 al movimento di opposizione al regime sovietico Charta 77, scelta che gli è fatale a causa dei continui interrogatori a cui è sottoposto dal regime e che lo porta alla morte per ictus pochi mesi dopo.
Tommaso Galeotto lo ha studiato e approfondito, grazie a suoi studi emergono chiavi di lettura per leggere la nostra storia. Qui, in questa breve intervista a Galeotto, ci limitiamo a far emergere il pensiero sorgivo di Patočka, ancora poco noto nella cultura italiana.
Può ricostruire la cornice del pensiero di Jan Patočka? Quali sono le sue radici culturali e chi sono i padri del pensiero a cui egli si ispira?
Sono due gli aspetti che più influenzano il filosofo, sia dal punto di vista accademico che personale. Il primo è il particolare e acceso momento storico-politico in cui vive: prima l’invasione da parte della Germania nazista e successivamente quella da parte dell’Unione Sovietica. Il secondo aspetto è, invece, l’incontro con quelli che saranno i suoi maestri: Husserl e Heidegger, che incontra rispettivamente nel 1929 a Parigi e nel 1933 a Friburgo. Del primo è debitore per quanto riguarda le tematiche della sua filosofia, Patočka riconosce ad Husserl il primato di aver intrapreso l’indagine del mondo della vita, quello naturale, della quotidianità, non più in un’ottica meccanicistica e meramente numerica, bensì dal punto di vista della coscienza e delle sue intuizioni fenomenologiche, staccandosi così dall’incrollabile fede della scienza moderna nei concetti matematici. È però da Heidegger che eredita l’approccio esistenziale e l’idea della necessità del passaggio da inautenticità ad autenticità della vita attraverso l’accadimento di un fatto in grado di risvegliare dal tepore della quotidianità del mondo naturale: uno sconvolgimento esistenziale che apre alla possibilità di un cammino di ricerca di senso e di verità.
Quali sono i temi che tratta e in quale modo li declina?
Il filo rosso che lega la sua filosofia, e che rappresenta la questione centrale delle due opere più note, Il mondo naturale e la fenomenologia, raccolta di una serie di saggi pubblicati tra il 1965 e il 1972, e i Saggi eretici sulla filosofia della storia, pubblicati clandestinamente nel 1975, è la tematizzazione del concetto di mondo naturale, il mondo della vita umana e l’ovvietà con cui esso si pone nella quotidianità media. Patočka mette in atto l’analisi di questo problema a partire dal rapporto tra l’uomo e il mondo stesso, utilizzando una logica esistenziale e calandola in una dimensione storica. La sua analisi si declina in tre movimenti fondamentali dell’esistenza: accettazione, conservazione e verità. Soltanto l’ultimo è il movimento dell’apertura alla problematicità e alla ricerca della verità delle cose e del mondo, gli altri, invece, trattengono l’uomo nella sua quotidianità e a-problematicità esistenziale.
Patočka si pone il problema del senso dell’esistere e della libertà?
Per Patočka il mondo naturale è il mondo dell’ingenuità, il mondo del senso modesto e certo. È un ciclico eterno ritorno. Esso è dominato da forze preconcette che assoggettano l’uomo nascondendogli quelle che sono le sue reali possibilità esistenziali, ostacolando qualsiasi problematizzazione. Il mondo naturale viene dunque a coincidere con il mondo preistorico, in cui l’uomo vive nell’accettazione tirannica di un destino che gli è stato affidato. La trama della vita è dettata dal mito, e non vi è possibilità di redenzione. Questo ciclo si spezza nell’approdo al mondo storico, attraverso il terzo movimento dell’esistenza. In esso l’uomo si scopre nella sua nuda vita. Egli accetta e rivendica la sua finitudine e si riconosce nelle sue possibilità esistenziali, e nella necessità della ricerca di un senso. È pronto ad assumersene la responsabilità dedicando sé stesso agli altri e a un senso comune. Potremmo dire che l’uomo si risveglia dal sonno della quotidianità e si apre per lui la possibilità di essere protagonista della sua vita, innanzitutto prendendo coscienza di essa. Tutto ciò ha inizio, secondo Patočka, con la nascita della filosofia all’interno della polis, ossia quella modalità del terzo movimento capace di mettere in crisi quel senso ingenuo e infrangibile del mondo preistorico, aprendo così la strada per la ricerca di un senso nuovo guadagnato in un’esistenza libera nel confronto col mondo e con gli altri.
In che modo allora la filosofia e la polis si pongono come elementi fondamentali nella sua proposta?
Il passaggio da mondo preistorico a mondo storico consiste sostanzialmente in un mutamento radicale delle modalità esistenziali da parte dell’uomo, che a sua volta coincide nel passaggio da vita ingenua a vita problematica. Tutto ciò ha origine da una particolare disposizione emotiva, lo stupore, la meraviglia di fronte alle cose, che crea uno choc esistenziale capace di scuotere la vita umana fino alle sue fondamenta. È da questo sconvolgimento che nasce la filosofia come interrogazione radicale delle cose. Essa mette in crisi il senso ingenuo del mondo preistorico problematizzandolo, ed invitando l’uomo alla ricerca di un senso guadagnato all’interno della propria esistenza e non semplicemente imposto. Patočka riconosce la polis come il luogo, di questo passaggio, il luogo del sorgere della filosofia, della politica e della storia. La polis è quello spazio umano in cui l’agire politico e la domanda filosofica si dispiegano nel confronto e nel conflitto tra gli uomini alla ricerca di un senso nuovo e di un’autenticità. Essa si pone come un fatto storico, risalente alla Grecia del V secolo a.C., che rappresenta l’apertura di una nuova dimensione di vita, in cui la vita stessa è tematizzata in tutte le sue forme, dal lavoro ai rapporti umani. La novità che la polis porta con sé è quella della possibilità di un confronto tra gli uomini, che possa, sia nel dialogo che nel conflitto, essere costruttivo e fonte generativa di opere e rapporti.
Quale legame c’è stato tra il pensiero di Jan Patočka e le sue scelte politiche?
Per lui l’uomo non è più soggetto passivo ma si pone come attivo all’interno del mondo, intento a plasmarlo e ad assumersi la responsabilità della storia mettendo al servizio la sua vita per gli altri e per un senso comune. Questo è ciò che accade allo stesso Patočka con la fondazione nel gennaio del 1977 di Charta 77, il movimento di opposizione al totalitarismo sovietico. Esso si pone come tentativo di messa in crisi del regime attraverso l’affermazione di ideali di libertà, di rispetto delle diversità e di difesa dei diritti umani e civili. È qui che la filosofia come prassi si rivela nell’assunzione di una determinata posizione etica, politica ed esistenziale di fronte ai fatti che accadevano nell’est Europa in quegli anni. L’uomo patočkiano non conosce il suo mondo se non prendendo faticosamente posizione in esso, anche all’interno di un regime. Il fine del totalitarismo sovietico, come d’altronde quello delle società arcaiche del mondo preistorico, era quello di dettare un ritmo instancabile ed alienante che scandisse nella più totale ripetizione la vita degli uomini, impedendo ogni margine di libertà e di confronto. La preistoria è dunque una categoria metastorica, può sempre riproporsi in diverse forme e in diversi volti, basti pensare ai rischi che porta con sé la tecno-scienza nei giorni nostri. L’opposizione a ciò espone l’uomo al rischio della libertà e all’assunzione delle proprie responsabilità nei confronti della storia e della propria vita. È però tale processo che pone l’uomo al servizio di un senso più grande ed elevato rispetto alla mera sopravvivenza, tracciando un cammino in cui egli si mette in gioco nella sua libertà, e per la libertà, attraverso un agire politico in grado di darci testimonianza della sua nobiltà.