La sentenza della Corte europea contro la Lituania

Vorrei ritornare su una questione, ma farlo senza buttare benzina sul fuoco. Semplicemente per offrire qualche elemento di riflessione in più. Ieri l’agenzia Ansa ha battuto la seguente notizia: “La Corte europea dei diritti umani legittima e difende l’uso di simboli religiosi nelle pubblicità, e condanna la Lituania per aver multato un’azienda che si è servita di Gesù e Maria su poster e internet per vendere vestiti”.

Lo ribadisco la decisione è lecita. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo permette e tutela la libertà di espressione, ma un principio dell’Ordinamento (in questo caso europeo) si applica in un gioco di pesi e di contrappesi con gli altri princìpi per rispondere a due finalità: se viene tutelata la dignità e se si garantisce più coesione sociale nello spazio pubblico.

Il termine «libertà», che rischia di essere interpretato in molti modi, deve essere fondato sul diritto che la promuove e la tutela. In questo senso, ciò che permette di rimanere liberi pur obbedendo alle leggi di una comunità può essere soltanto il diritto che le libertà di tutti siano compossibili, di modo che non ci sia qualcuno «più» libero di un altro, ma tutti siano ugualmente liberi. La maturità infatti significa uscire dall’auto-referenzialità per entrare nella relazionalità. In questo senso, Kant insegna che è necessario agire in modo che l’altro non sia mai mezzo, ma fine delle mie azioni; in termini di diritto: che non sia mai un oggetto del quale mi servo, ma un soggetto che accolgo e rispetto nella sua alterità, di fronte alla possibilità reale che gli uni per gli altri possiamo essere lupi, e che il mondo divenga una guerra di tutti contro tutti.

In altri termini, la libertà di ciascuno finisce quando inizia quella dell’altro. È quello che il Papa ha sottolineato durante il viaggio nelle Filippine, quando ha ribadito — utilizzando l’immagine del pugno come reazione all’offesa della dignità di una persona a cui si vuole bene, come nel caso della propria madre — che la libertà di espressione non è mai assoluta.

Il primo passo richiede il coraggio laico di aprirsi all’ampiezza totale della ragione. «Il coraggio — ha affermato Papa Benedetto XVI — di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza, entra nella disputa del tempo presente»[1].

Rifondare un «ethos condiviso», in grado di costituire la rete delle regole del pluralismo sociale, significa, allora, considerare la laicità culturale non in una chiave ideologica (intollerante verso le fedi religiose), ma come un «metodo», direbbe Norberto Bobbio, dove una «vocazione» dei poteri pubblici valorizzi, nel quadro ampio della legalità costituzionale, le diverse opzioni culturali e religiose senza identificarsi con alcuna di esse.

L’esperienza italiana ha molto da insegnare all’Europa dei giuristi.

Il fondamento della laicità culturale italiana, che è «un modo» di vivere lo spazio pubblico, si fonda, per i costituenti, sul principio di libertà religiosa, inscritto nel dettato degli articoli 7 e 8 della Costituzione. È ciò che aveva precisato Aldo Moro all’inizio del 1947, durante i lavori dell’Assemblea costituente: «Non lo Stato teologo, dunque, ma lo Stato libero e democratico, lo Stato cioè che accoglie tutte le esigenze sociali e le soddisfa, senza sostituire arbitrariamente il proprio dogma laicista alla diffusa coscienza religiosa del popolo italiano»[1].

È grazie a questa scelta culturale che nella Costituzione italiana il principio di laicità non è formulato, ma lo si deduce in base ad altri princìpi, come quelli di uguaglianza, libertà religiosa, giustizia ecc. Così, se la laicità giuridica è da intendere come la netta separazione dello Stato da ogni confessione religiosa, la sua ispirazione laica, invece, non può essere estranea né alla coscienza religiosa dei propri cittadini, né al patrimonio culturale e spirituale legato ad essa. Secondo l’intuizione dei padri costituenti, i valori religiosi meritano di essere promossi, in quanto aiutano la crescita e la maturazione della società civile.

Nella tradizione della democrazia italiana, «laicità» non significa assenza di simboli, ma capacità di accoglierli e sostenerli. La sentenza della Corte costituzionale n. 203/1989, che riconosce esplicitamente il valore delle esperienze religiose come elementi vitali della democrazia, precisa un aspetto che definisce la laicità italiana: «Alla condizione che [le religioni tra loro] accettino il pluralismo». La laicità, dunque, in quanto principio supremo, opera come medium, «attraverso il quale il mondo dei valori entra in quello giuridico e il mondo giuridico si apre ai valori»; la sua essenza materiale serve a nutrire e a ispirare il diritto.

È in questa prospettiva che ci si divide non tra uomini religiosi e non, o tra credenti e non credenti, ma tra esseri morali e non, tra coloro che si fanno carico della dimensione della fraternità e coloro che la rifiutano. Il futuro è solo nella convivenza.

Questi sono i valori in gioco. Sulla qualità della pubblicità e dell’immagine non vorrei essere patetico o bigotto, ma per i credenti il Corpo di Cristo e quello di Maria sono il centro della fede, la ragione della vita. Vederla profanare, turba. Tocca il cuore della nostra credenza, umilia le nostre comunità che credono. Il modo in cui Maria e Cristo hanno deciso di vivere il corpo ed essere corpo nella storia degli uomini ha ispirato l’arte di ogni tempo. Se la pubblicità avesse ironizzato su una struttura storica e caduca della Chiesa, come lo Ior, la curia, il prete di turno che si presta… sarebbe stato diverso. Ma ironizzare sulle immagini di Maria e di Gesù, è proprio stato segno di immaturità… e diciamolo pure di pubblicità scorretta. E poi dover leggere che i giudici evidenziano che le pubblicità in questione “non sembrano essere gratuitamente offensive o profane”, non lo saranno per loro, ma lo sono per coloro che credono.

[1].      Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione. Resoconto som­mario, seduta del 30 ottobre 1946, 325.

[1].      Benedetto XVI, «Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni», Regensburg, 12 settembre 2006, in http://w2.vatican.va/

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