Finalmente le liste si sono chiuse. Lo spettacolo anche dei media sul tema non è stato dei migliori. Rimane però la legge elettorale (n. 165/2017), una delle 7 leggi con cui gli italiani votano i loro rappresentanti istituzionali; è chiamata il Rosatellum, dal cognome dell’on Rosato il primo firmatario.
Le attese per una nuova buona legge elettorale erano molte. Doveva essere una medicina per il sistema e invece gli effetti sul sistema sono quelli di una cena di pesce crudo… quando il pesce non è fresco! I primi a stare male sono stati partiti che l’hanno votata, non parliamo degli elettori che rischiano di subirla con il rischio di non capirla nemmeno. Ma andiamo con ordine.
Come funziona?
La legge introduce un sistema misto proporzionale e maggioritario: circa un terzo dei parlamentari (231 seggi alla Camera e 109 al Senato) verrà eletto all’interno di collegi uninominali, in cui sarà eletto il candidato più votato. I due terzi restanti (398 seggi alla Camera e 199 al Senato) saranno assegnati con il sistema proporzionale. L’elettore potrà esprimere un doppio voto, detto «rafforzativo», nella stessa scheda elettorale, ma non un voto disgiunto, se vengono barrate la casella di un candidato al collegio uninominale e una lista diversa da quelle che lo appoggiano, il voto sarà annullato.
I singoli partiti o le coalizioni si presenteranno attraverso liste di candidati «piccole» e «bloccate» (da due a quattro per la Camera, da due a otto per il Senato), mentre l’elettore potrà votare la lista, ma non i singoli candidati. Per entrare in Parlamento un partito dovrà superare il 3% dei voti su base nazionale, mentre la coalizione dovrà superare la soglia del 10% dei voti.
Detto fatto. In pochi mesi l’accordo trasversale tra Pd, Forza Italia e Lega ha spostato le lancette della politica alla legge elettorale del 1993, che aveva premiato la rappresentanza sulla governabilità.
Ecco un fac simile della scheda. Si possono fare due croci, ma senza dissociare il voto. Se si fa una croce sola per il candidato all’uninominale il voto NON si estende alle liste collegate. Se invece si sceglie solo una lista del proporzionale allora il voto va ANCHE al candidato all’uninominale e al partito scelto per la parte proporzionale. La ripartizione dei seggi è complessa, vi rimando a questo articolo: Il Rosatellum e l’effetto flipper
Alcune ragioni pro e contro la nuova legge
Il pilastro centrale su cui poggia l’impianto della legge sono le «coalizioni elettorali», che potrebbero non coincidere con le «coalizioni politiche». «Uniti durante le elezioni, separati e lontani nel corso della legislatura», potremmo dire in forma di slogan. Le coalizioni elettorali serviranno ai partiti per eleggere il maggior numero di parlamentari, ma dal giorno successivo alle elezioni le alleanze per formare il Governo potrebbero cambiare.
L’attuale legge, invece, favorisce accordi post-elettorali e governi trasversali di coalizione. Potrebbe capitare che la coalizione elettorale Berlusconi-Salvini si trasformi in coalizione politica Berlusconi-Renzi durante la legislatura. La legge indebolirà il governo e rafforzerà i gruppi parlamentari, che detteranno l’agenda politica.
I rischi che si potrebbero ripresentare con la nuova legge elettorale sono gli stessi del tiro alla fune: per governare con maggioranze disomogenee l’equilibrio sarà raggiunto annullando la propria natura; inoltre, «rimescolare le carte», una volta che le grandi coalizioni arrivano in Parlamento, potrebbe confondere il corpo elettorale.
Alcune conseguenze politiche della legge elettorale
Anche i politologi sono divisi sulle conseguenze politiche che la legge elettorale determinerà. Se nessuna coalizione otterrà la maggioranza, potrebbe nascere un governo tecnico, oppure un governo istituzionale Tajani o Gentiloni-bis, sostenuto da una «maggioranza di sistema» tra le forze politiche guidate da Berlusconi, Renzi e Bersani.
Le regole del gioco, però, non determinano mai il risultato della partita. Quando si pensava che la legge elettorale del 1993 avrebbe premiato l’area centrista, vinse la destra di Fini. Rimane, poi, l’incognita del popolo silente degli astenuti, che i sondaggi stimano intorno al 50% degli aventi diritto al voto.
La legge è «il canto del cigno» di un sistema politico al tramonto, che sta cercando nuove vie per riformarsi. Al modo di un enzima, accelererà i processi di scomposizione politica già in corso.
È il caso, per esempio, del Pd, nato per federare le culture riformiste del Paese, come quella cattolica, quella liberal-moderata e quella comunista. Le divisioni insanabili della sinistra hanno svuotato la natura stessa del Pd, nato per un modello maggioritario e dell’alternanza. Anche all’interno del partito di maggioranza, la stessa esperienza politica della Leopolda rappresenta il superamento del Pd, per essere un’esperienza «esclusiva» dell’area renziana ed «escludente» altre forze politiche.
Allo stesso modo, il centrodestra sta ricercando un equilibrio per il tempo post-Berlusconi. Anche il M5S sta cercando stabilità sulla leadership, sulla cooptazione dei candidati e sulle regole democratiche interne.
Insomma, la legge accelera un processo politico che potrebbe portare dopo il 4 marzo a una semplificazione o a una frammentazione enorme.
Alcuni dati certificano il disinteresse ai partiti: nel 1948 le sinistre avevano più di quattro milioni di tesserati, nel 1990 la Dc aveva ancora due milioni di iscritti al partito. Attualmente il Pd dichiara circa 400.000 iscritti, Forza Italia ne ha 165.000, mentre il primo partito italiano, il M5S, ne ha 170.000.
Due scelte di fondo urgenti: riforme costituzionali ed Europa
Non sembra vero – e viene da sorridere – ma per disintossicare l’organismo occorre approvare una nuova legge elettorale al più presto. Tuttavia scegliere per l’ennesima volta una legge elettorale prima di approvare le riforme costituzionali è come iniziare una cena con la frutta e il caffè.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere: questa legge permetterà a tutte le forze politiche di attraversare una terra di mezzo per rispondere insieme a due temi urgenti.
Un Parlamento eletto dopo anni con la proporzionale sarà rappresentativo delle più importanti sensibilità politiche per rielaborare le riforme costituzionali ad hoc e una legge elettorale più meditata di quest’ultima. La manutenzione costituzionale non può essere procrastinata sine die: occorre riprendere la riflessione sulla riduzione del numero dei parlamentari, il bicameralismo perfetto, il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo ecc.
Soltanto questa presa di responsabilità giustificherebbe un’alleanza trasversale, guidata dalla moral suasion del presidente Mattarella.
C’è poi un secondo punto: la costruzione dell’Unione Europea in senso federale. Da una parte, la costruzione dell’Europa; dall’altra, la chiusura al sovranismo narrato con scelte demagogiche nazionali, doppie monete, aumento del deficit dei Paesi indebitati. Anche la risoluzione del «particolare» dei singoli temi – sicurezza, integrazione, lavoro, armonizzazione dei sistemi fiscali e sociali ecc. – cambia rispetto al «generale» che si sceglie.
Lo ribadiamo: è per questo che, più che per la contrapposizione tra destra e sinistra, il nuovo Governo si caratterizzerà per quella tra alto e basso, tra europeisti e sovranisti.
Difesa e sicurezza, crescita e occupazione hanno bisogno di più sovranità europea e di meno sovranità nazionale. Il discorso sull’Europa fatto dal presidente francese Macron alla Sorbona il 26 settembre scorso costituisce l’orizzonte a cui deve rivolgersi anche l’Italia: «Il mondo ci propone sfide che si vincono solo con un’Europa più forte: economia, lavoro, ambiente, immigrazione. Non esistono soluzioni locali a problemi transnazionali». È questo l’unico orizzonte possibile.
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La crisi istituzionale e la debolezza dei partiti può essere risolta solo con l’assunzione di un alto senso di responsabilità delle forze politiche e dei loro esponenti. Mi permetto di dirlo: non un governo a tutti i costi. Persino Machiavelli credeva fosse meglio perdere con truppe fedeli che guardassero allo stesso obiettivo condiviso piuttosto che vincere con bande di mercenari che, per difendere l’interesse di pochi, fanno il male di molti.
Se vuoi approfondire su La Civiltà Cattolica quaderno n. 4020