Una pagina del Vangelo, quella che in genere definiamo del buon samaritano, interroga le radici dell’impegno politica e i politici stessi. Proviamo ad immergerci in queste parole antiche e attualissime. Poi le commenteremo brevemente. Questa pagina è stata letta alla presenza del Ministro Delrio e di circa 120 giovani del percorso di formazione alla politica www.pensarepoliticamente.net
E a me chi è vicino? (dal Vg. di Lc. 10,29-37)
29 Ora egli, volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E a me chi è vicino?
30 Rispondendo, Gesù disse:
Un uomo discendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti, che, spogliatolo e riempito di colpi, si allontanarono, lasciandolo semimorto.
31 Ora, per combinazione, un sacerdote discendeva in quella stessa via, e, vistolo, deviò oltre.
32 Ora, similmente, anche un levita, venuto sul luogo e vistolo, deviò oltre.
33 Ora un samaritano viaggiando, venne presso di lui e, visto, si commosse,
34 e, avvicinatosi,
fasciò le sue ferite, versando sopra olio e vino, e,
caricatolo su ciò che si era acquistato,
lo condusse nel tutti-accoglie e
si prese cura di lui.
35 E l’indomani, tirati fuori, diede due denari a chi tutti-accoglie e disse: Prenditi cura di lui; quanto spenderai di più, io, al mio sopraggiungere, renderò a te.
36 Chi di questi tre sembra a te si è fatto vicino a chi incappò nei briganti?
37 Ora egli disse: Chi fece misericordia con lui! Ora gli disse Gesù: Va’, e anche tu fa’ lo stesso!
Il brano inizia con una domanda e termina con un’altra domanda:
A me chi è vicino? (implosione)
Chi si è fatto vicino? (apertura).
Il versetto 30 dice che c’è un uomo che discende da Gerusalemme a Gerico… e incappa nei briganti che lo spogliano, lo riempiono di colpi e lo lasciano semimorto.
Il male colpisce e ci lascia semimorti, non risparmia nessuno. Entra nel cuore delle persone, dà ciò che promette, ma a chi lo serve obbliga a spogliare le persone, riempirle di colpi e lasciare semimorte le persone.
Anche in politica chi serve il male entra in una logica di schiavitù ed è costretto a questi verbi. È per questo che serve tanto discernimento.
Poi appaiono tre personaggi. Il sacerdote che doveva rispettare una serie di regole del culto e non poteva toccare il sangue, il levita osservante di una serie di leggi che gli impedivano di fermarsi.
Il samaritano, un nemico e una minaccia per i giudei, che si ferma
Punto di rottura al versetto 33: si commosso. La commozione è la forma più alta di amore. Per la scrittura non è dire ti amo, ma eccomi, quando uno vuole amare.
Ci sono tre modi di stare nel mondo (anche) politico. Vivere come i briganti che spogliano le persone, le riempiono di colpi e le lasciano semimorte. Questi sono i mafiosi, i corrotti, le bande clientelari che si arricchiscono sugli altri ecc. ecc.
Oppure si può vivere come i sacerdoti e i leviti, ma vivono una spinta centripeta che li rinchiude in se, il rispetto della legge è superiore alla persona. Poi c’è il samaritano, una spinta centrifuga lo spinge fuori di se. Vive nell’al-di-là. Cosa lo spinge? La compassione, il sentire con l’altro. C’è un appello a un Tu senza il quale egli non potrebbe vivere.
Così, la compassione diventa un movimento di avvicinamento a chi nella mia vita ha un bisogno. È la forza di non scappare davanti al dolore dell’altro. Il prossimo non è una idea o una categoria che ci separa da lui – poveri, carcerati, immigrati, disoccupati, handicappati, emarginati… – ma è una persona che ha un bisogno e mi è vicina.
I versetti 34 e 35 presentano un decalogo: mette in fila dieci verbi per descrivere l’amore: lo vide, si mosse a pietà, si avvicinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò… fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò…
Questo è il nuovo decalogo, “prossimi”, altrimenti siamo avversari. Non c’è alternativa. O pace o guerra.
“Tuo prossimo non è colui che tu fai entrare nell’orizzonte delle tue attenzioni, ma prossimo sei tu quando ti prendi cura di un uomo; non chi tu ami, ma tu quando ami” (Ronchi).
Se muore il prossimo in politica allora muore il senso umano della politica, quella su cui si fonda il nostro convivere.
Passato anche il Novecento, studiosi come Luigi Zoja, affermano che oltre a Dio è morto anche il prossimo, la persona che vedi, senti e tocchi. Infatti prossimo significa letteralmente “l’altro che ti sta vicino”, dal termine plesíos.
Cosa sta diventando la vicinanza? Un pericolo. Nel passato aveva i suoi riti, si passava dal lei al tu, dalla stretta di mano all’abbraccio, oggi si è trasformata in una forma distorta di impulsi sessuali e sempre meno sessuati.
Infine approfondiremo la domanda biblica: “Chi è il mio prossimo?”. La cultura del terzo millennio ha fatto morire il prossimo, come ha scritto Zoia, ma il cittadino occidentale cerca disperatamente il lontano in Rete per non sentirsi isolato e solo. Si vuole distante il vicino e vicinissimo il lontano.
In un convento in cui tutti i monaci servivano senza sosta i poveri, il priore chiede a uno di andare a mendicare per chiedere cibo in città. Al suo ritorno gli dice: “mi davano la moneta, ma nessuno mi guardava in faccia”.
Antidodo a tutto questo noi crediamo in tre grandi azioni: ritornare a chiamarci per nome attraverso il volto e il bisogno; costruire comunità che sono l’antidoto a chi strumentalizza i popoli e ritornare a vivere la città con al centro le persone e i loro bisogno, i loro diritti e le loro responsabilità.