Anche negli Usa è “scoppiato” il dibattito. Per questo occorre fare chiarezza e chiarire gli elementi morali per prendere una decisione in questo campo minato. La maternità surrogata è una pratica di procreazione in cui la donna si impegna a portare avanti una gestazione per poi consegnare il neonato che darà alla luce a una coppia committente. È tra i temi più delicati e scottanti del dibattito pubblico, a partire dai modi diversi in cui viene definita: è chiamata «gestazione per altri» (Gpa), «gestazione d’appoggio» oppure «utero in affitto». Le domande antropologiche ed etiche che tale pratica apre toccano la radice del significato di vita, di corpo, del rapporto madre-figlio, di dignità, di memoria ma anche di dono e di reciprocità. Sembra che nel dibattito politico le categorie dell’umanesimo abbiano lasciato il posto a quelle del post-umanesimo, in cui la riflessione pubblica si limita ad accogliere (passivamente) i traguardi della tecnica. Il magistero della Chiesa, invece, ci invita a integrare le nuove scoperte biologiche e tecniche per collocarle in un orizzonte antropologico che ponga al centro il significato di vita umana e di dignità. È a partire da qui che evidenzieremo alcuni criteri di discernimento per capire la pratica della maternità surrogata.
Elementi morali per discernere
È indicativo anche il silenzio sul tema da parte della stampa europea. Lontano dagli echi mediatici, la Carta di Parigi, firmata il 2 febbraio 2016, è di recente discussa nei Parlamenti degli Stati membri per proporre l’abolizione della maternità surrogata. Promossa da esponenti come la scrittrice socialista Sylviane Agacinski e da rappresentanti dei diritti umani, delle famiglie, del mondo politico e culturale europeo, in uno dei suoi passaggi più significativi si legge: «Lungi dall’essere un gesto individuale, questa pratica sociale è realizzata da imprese che si occupano di riproduzione umana, in un sistema organizzativo di produzione, che comprende cliniche, medici, avvocati, agenzie, ecc. Questo sistema ha bisogno di donne come mezzi di produzione in modo che la gravidanza e il parto di-ventino delle procedure funzionali, dotate di un valore d’uso e di un valore di scambio, e si iscrivano nella cornice della globalizzazione dei mercati che hanno per oggetto il corpo umano».
La valutazione etica della maternità surrogata, per gli elementi emersi, non può limitarsi a stabilire una sorta di misura al limite delle tecniche di procreazione artificiali. Non si tratta nemmeno di fissare parametri – quanto sarebbe giusto o dove sarebbe troppo – per capire fin dove è possibile arrivare con uno strumento tecnico che di per sé dovrebbe essere neutro. Infatti, essendo coinvolta la persona e la sua dignità come oggetto dell’agire tecnico, bisogna ricordare quell’imperativo che Immanuel Kant identificava come punto chiave dell’agire umano: «Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua come nella altrui persona, sempre come fine e mai come semplice mezzo» . La valutazione etica di tale prassi si pone al più radicale dei livelli dell’umano, quello del senso della vita. Parlare di un approccio etico alla maternità surrogata significa portare la domanda morale al cuore della tecnica per cercare come questa possa servire l’uomo, senza servirsene. Trasformare la pro-creazione in una produzione rivela un decadimento della percezione dell’umano verso le derive del post-umano: l’uomo svuotato dal significato antropologico unitario, che rimane malleabile e plasma-bile secondo il desiderio dei più forti e dei più ricchi .
Se lo sguardo che poniamo sulla maternità surrogata non si facesse carico di tale domanda sul significato umano di questa prassi, negheremmo la dignità umana che invece ci permette di trovare risposte alle questioni qui sollevate. Proprio la storia del Novecento, con le sue pagine sanguinose, mostra come i crimini (meglio cri-mini che lutti: i crimini eliminano il fondamento ecc., non i lutti) che l’umanità ha subito abbiano di fatto espresso il loro volto più cruento eliminando il fondamento della dignità dalla coesistenza umana.
La vita è indisponibile
La Chiesa, attraverso il Magistero, non si stanca di affermarlo: «Ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di persona. Questo principio fondamentale, che esprime un grande “sì” alla vita umana, deve essere posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica, che riveste un’importanza sempre maggiore nel mondo di oggi . Lo ha recentemente ribadito anche Papa Francesco nell’Amoris laetitia al n. 54. E allora diviene arduo sotto il profilo giuridico, prima di quello morale, considerare la maternità surrogata una tecnica riproduttiva eterologa in caso di sterilità. Significherebbe svilire il valore della relazione che madre e figlio vivono nei nove mesi di gestazione. Non può nemmeno essere ridotta, come ritengono alcuni bioeticisti, alla semplice donazione di un organo perché l’utero, diversamente da un rene o un polmone, esiste per contenere un’altra vita e non ha altra funzione se non quella. Basterebbe una consultazione pubblica nei vari Paesi europei per capire che la maggioranza della popolazione è contraria alla pratica.
La parte più debole rimane il nascituro, che «va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita». L’idea del legame liquido che fonda la surrogazione può condizionare le domande e gli appelli più profondi della coscienza morale? Davvero possiamo insegnare ai giovani che tutto può essere disponibile, soggetto a prezzo di mercato e controllato dagli interessi delle industrie biotecnologiche? Se si afferma culturalmente che nemmeno l’essere dei nascituri è indisponibile, dove fonderanno la propria libertà quando cresceranno? E quale tipo di rigetto avranno per la generazione che li ha resi disponibili? È questa la domanda a cui rispondere come civiltà umana. La libertà è sempre per qualcuno, non è mai da qualcosa, non si realizza nello spazio infinito del moltiplicarsi dei bisogni-desideri, ma si costruisce nell’accoglienza del limite e della relazione con l’altro.
Intanto, nel mondo ci sono circa 170 milioni di bambini abbandonati. Prendersi cura di loro attraverso l’adozione o l’affido da sostenere come cultura politica, riporterebbe nei confini dell’umano il desiderio di diventare genitori e di crescere un figlio.
Per approfondire: La Civiltà Cattolica