Populismi. 7 caratteristiche e un antidoto

I populismi
Ecco come Stefano Ceccanti ha riassunto l’articolo pubblicato nel n. 4008 de La Civiltà Cattolica

“Sarebbe ingenuo pensare che i populismi siano forze di opposizione o semplicemente movimenti antipolitici, una sorta di parafulmini su cui si scarica la rabbia della società. Certo, alcuni movimenti si sono rivelati come forze antisistema e antidemocratiche. Altri, invece, un’alternativa alle forze di governo. Tutti, però, sono accomunati da una serie di caratteristiche che ne rappresentano una sorta di minimo comune denominatore.

Tra queste, la principale è quella di considerare il pluralismo come un disvalore… Allo stesso modo del principio pluralista sono considerate le libertà: i populisti non le negano, tendono a esaltarle nei discorsi, ma a comprimerle nei fatti.

Una seconda caratteristica comune ai populismi è la disintermediazione: al loro interno, con la loro struttura verticistica, le forze populiste rigettano l’intermediazione di chi rappresenta altri cittadini portatori di interessi sociali..

Terzo elemento comune: le categorie di destra e di sinistra politica sono volutamente confuse dai populisti. La dialettica politica si sposta sulla contrapposizione «alto» e «basso», come per esempio riguardo alla costruzione dell’Europa o al potenziamento dello Stato-nazione…

Un quarto elemento comune ai populismi è la comunicazione, spesso autoreferenziale e strumentale…

C’è poi una quinta caratteristica, che riguarda l’adesione alla legge. Le forze populiste tendono a ignorare uno dei princìpi classici del diritto: sub lege libertas. C’è il rischio che al di sopra della legge si trovi il leader con le sue regole, mentre le Costituzioni sono ritenute leggi modificabili in base al programma populista…

Una sesta caratteristica è la visione messianica e moralistica della politica, di cui i populisti sono portatori. Per i populisti, le élites politiche pensanti sono sempre e comunque corrotte: soltanto nel popolo risiedono la virtù e la purezza. Non a caso in Italia il «sistema operativo» per la gestione interna e la scelta dei candidati del Movimento Cinque Stelle (M5S) è un portale web chiamato «Rousseau». L’idea, piuttosto ingenua, di «volontà generale» e di «popolo innocente» espressa dal filosofo ginevrino ha permesso nella storia il potere di tanti generali che, invece di servire il popolo, se ne sono serviti…

Ultima caratteristica – questa, di contesto – sono i tempi di crisi finanziarie e la paura delle migrazioni…

Le forze neopopuliste sono in grado di fare diagnosi sociali corrette e di percepire le ragioni della protesta. Sono invece discutibili le terapie lasciate in mano a classi politiche spesso improvvisate, obbedienti a leader tribunizi che sfruttano la rabbia dei cittadini. È per questo che i populismi hanno paura di dialogare per spiegare le soluzioni che propongono secondo criteri ragionevoli. Quando – l’esempio è recente – rappresentanti di forze populiste sono chiamati a governare, la complessità della politica li immobilizza: Nigel Farage ha abbassato la voce, i primi cittadini di Roma, Barcellona e Madrid sono bloccati nella loro azione di governo, la Le Pen in Francia è stata arginata dall’elettorato e dal sistema elettorale del doppio turno, i governi polacco e ungherese rischiano di isolarsi dalla politica europea…

L’idea di Unione Europea come sintesi tra politica dei governi nazionali e politica europea non ha funzionato. Gli Stati più forti impongono la proiezione delle loro politiche nazionali, mentre «la fusione tra i due livelli (nazionale e europeo) sta portando dall’integrazione alla disintegrazione. Se il Consiglio europeo non ha bilanciamenti esterni, e se le elezioni nazionali portassero al governo leader populisti, chi controlla le scelte del Consiglio europeo? (Fabbrini). Cosa succederebbe se le forze populiste diventassero la maggioranza di quell’organismo? Vanno trasferiti maggiori competenze e poteri politici – in materia economica e monetaria, di politica di difesa comune e di politica estera – dai singoli Stati agli organi politici federali europei, al Parlamento europeo, al Consiglio europeo.

Essi sono la manifestazione di problemi seri. Ma è bene affrontarli con classi dirigenti capaci di aggiornare gli strumenti delle moderne democrazie rappresentative, anche su scala federale europea, all’interno dei princìpi che regolano le democrazie contemporanee. Queste non perdono di attualità solo perché alcuni strumenti sono, nel tempo, diventati obsoleti”.

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