di Benedetta Grendene
“Una delle storie più appassionanti del XX secolo è raccontata in questo libro dal confratello carmelitano Fernando Millàn Romeral che con estrema dolcezza e sensibilità descrive il percorso umano e spirituale di Tito Brandsma.
Sacerdote carmelitano di origini olandesi, Padre Tito da giornalista cattolico amante del dialogo ecumenico difese fino alla morte la cultura dell’amore e del perdono di fronte al genocidio nazista. La biografia di quest’anima buona, beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 3 novembre 1985, è una grande testimonianza di fede che irradia di speranza uno dei momenti più tristi della storia dell’Europa e del mondo. Non c’è odio in queste pagine, non c’è rancore nemmeno nei momenti più tragici di vita carceraria che culminano con la morte il 26 luglio 1942 nel campo di concentramento a Dachau.
A porre fine al calvario di questo martire cristiano è un’iniezione letale per mano di un’infermiera olandese che in seguito, mossa da profonda compassione, si converte tornando alla fede cattolica. Un rosario fatto di bottoni e pezzetti di legno che Padre Tito, ormai anziano, dona alla donna sua carnefice prima di esalare l’ultimo respiro è l’ultimo estremo gesto di salvezza ed espiazione per tutta l’umanità. Uomo di straordinaria levatura intellettuale, morale e spirituale, Padre Tito viene ricordato oggi non solo per la sua intensa attività accademica e universitaria sia come professore che come Rettore dell’Università cattolica di Nimega, ma anche per il suo impegno in ambito educativo con la fondazione di collegi cattolici nell’Olanda protestante.
La ricerca onesta della Verità “senza vendersi a niente e a nessuno”, la preoccupazione per il “neopaganesimo” e la lotta contro il culto della violenza e della razza, fanno di Padre Tito un modello per i giornalisti che cercano nella stampa cattolica “la forza della parola contro la violenza delle armi; la forza della nostra lotta per la Verità”. Per questo suo tono sempre pacifico e conciliante Padre Tito nel 1935 fu nominato assistente ecclesiastico dell’Unione dei Giornalisti Cattolici.
Grande maestro di umanità, per lui il giornalismo è una vocazione al servizio della Verità e una fedeltà profonda ad un’onestà, un’etica e una libertà intellettuale disarmanti, che gli costarono la vita in un contesto drammatico dominato dai totalitarismi. Conservò sempre una grandezza d’animo e una commovente carità perfino verso i suoi persecutori e morì da martire cristiano della fede testimoniando con la sua stessa vita una vera mistica della sofferenza della croce di Gesù Cristo che assurge a simbolo dell’amore per l’uomo.
Nel cammino travagliato della sua esistenza, gli furono sempre di grande conforto le parole di Santa Teresa d’Avila, la religiosa spagnola carmelitana a cui Padre Tito fu legato da un’autentica devozione. Le tante domande sulle cause dell’ateismo moderno, la ricerca incessante di Dio in un mondo che si stava progressivamente allontanando da Lui, la sete di conoscenza mai si affievolirono nel buio della sua cella in carcere. Qui Padre Tito curò la traduzione in olandese di alcune opere di Santa Teresa tra cui “Il castello interiore” e compose alcuni dei suoi scritti più belli e toccanti che restano oggi il cuore pulsante e vivo della sua produzione letteraria, nella semplicità dell’essenziale. “Davanti all’immagine di Gesù nella mia cella” è forse il suo componimento più celebre che vide la luce nel febbraio 1942: nelle tenebre della notte la sofferenza non fa più paura ma diviene un “dolce dono”, unica strada ad maiorem Dei gloriam. Probamur dum amamur (Siamo provati, perché siamo amati): Padre Tito sperimentò in prima persona nella preghiera la presenza amorosa e misteriosa di Cristo che anche nella realtà più dolorosa diviene compagno e balsamo per le nostre ferite”.
Fernando Millàn Romeral, Il coraggio della Verità. Il beato Tito Brandsma, Àncora Editrice, Milano, 2012, p.128, € 13.00.