Il 4 marzo, dalle ore 9.30 alle 11.00, Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, accompagnerà il percorso di formazioni politica CONnessioni che si tiene a Civiltà Cattolica. Approfondiremo il rapporto tra la GIUSTIZIA e L’EUROPA nel ciclo di incontri di quest’anno che hanno come titolo Orizzonte Europa. Al dott. Roberti va la nostra gratitudine per avere accolto il nostro invito.
Per i giovani che vogliono partecipare è obbligatoria l’iscrizione connessioni.formpol@gmail.com L’esperienza – che quest’anno compie 8 anni – è nata dai giovani delle presidenze delle più note associazioni laicali cattoliche e si arricchisce di altri giovani professionisti vocati alla politica. Quest’anno sono presenti molti giovani provenienti da varie città d’Italia: da Bassano a Bari, da Siracusa a Cagliari, da Firenze a Napoli. A tutti voi grazie! Come sempre le esperienze che hanno molta vita vivono di fiducia e di passaparola personale… post, pubblicità ecc. sono necessari ma non determinanti.
Vi aspettiamo!!!
Nella seconda parte, quella più laboratoriale e di confronto sarà centrata sull’approfondimento della GIUSTIZIA RIPARATIVA su cui si basa parte del diritto penale applicato ai minori e alcune raccomandazioni del Parlamento europeo.
Ma prima di entrare nel merito facciamo un passo indietro.
Quale idea di giustizia esce dal Vangelo? Una giustizia “debole” quella degli schiavi che abbassano la testa e non reagiscono?
In realtà è un’idea di giustizia degli uomini totalmente liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di invertire la spirale della vendetta e di rilanciare la responsabilità di ricostruire quello che si è spezzato nella relazione.
Scrive un teologo: “Il Vangelo mette in fila una serie di verbi che chiedono cose difficili: amate, pregate, porgete, benedite, prestate, fate: per primi, ad amici e nemici”. E aggiunge: “Infatti dove sta il centro da cui scaturisce tutto? Sta nelle parole: perché siate figli del Padre vostro che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Da Padre a figli: c’è come una trasmissione di eredità, una eredità di comportamenti, di affetti, di valori, di forza, di solarità”.
Per questo è importante immettere nella cultura l’idea di giustizia riparativa che pone al centro la vittima col suo dolore, il reo che è chiamato a riconoscere il male fatto, il loro incontro per fare responsabilità, la presenza attiva della società perché la frattura di un rapporto non riguarda solo coloro che sono interessati direttamente, ma tocca la vita (politica) di tutti.
Molti testimoni del nostro tempo ce lo insegnano.
Dice Daniela Marcone, vice presidente di Libera: «Dopo la morte di papà sono rimasta legata a chi lo ha ucciso a filo doppio. Siamo le due facce di una stessa medaglia e ci diamo le spalle. […]. «Ogni volta che viene commesso un crimine, questo coinvolge direttamente il reo e la vittima, ma in realtà si crea uno strappo anche ai danni della comunità in cui reo e vittima vivono: questo strappo occorre ripararlo».
Agnese Moro scrive ai terroristi del padre dopo aver riletto le terribili pagine dell’autopsia che parlano dell’agonia del padre: «Dopo questa lettura — ha precisato Agnese — sono stata davvero sicura di non aver annacquato nulla; che il mio cammino verso di voi, come il vostro verso di noi, è stato fatto senza semplificare e senza mettere niente tra parentesi».
Lina Evangelista, moglie di un poliziotto assassinato dai neofascisti dei Nar nel 1980, ci consegna un insegnamento: «Perdonare non significa dimenticare il passato, si ricorda tutto, ma in modo diverso»; e dopo aver incontrato gli assassini del marito confida: «I mostri si sono rivelati tutt’altro».
La madre del giudice Livativo lo ha ripetuto: “Perdono, perchè mio figlio avrebbe perdonato”.
Anna Laura Braghetti che freddò con 11 colpi Vittorio Bachelet ricorda così l’incontro col fratello di Vittorio, il gesuita Adolfo Bachelet: «Entrai nel parlatorio del carcere di Rebibbia, mi venne incontro e mi abbracciò, un abbraccio lungo, e intanto mi accarezzava, mi consolava». Ricorda anche l’incontro col figlio in occasione di un convegno al Campidoglio: «Ci siamo riconosciuti. Mi ha parlato e mi ha detto che bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato. Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene» .
Loro dicono che questo è possibile e falsificano un modello unico di giustizia. Quello retributivo. La Commissione per la verità e la riconciliazione del Sudafrica, voluta da Nelson Mandela e presieduta da Desmond Tutu. Subordinarono l’amnistia ai carnefici che incontravano le loro vittime o le famiglie. Anche l’esperienza del Ruanda dei tribunali Gacaca ispirati ad antichi modelli di giustizia comunitaria.
Per approfondire… è dunque necessario pensare LA GIUSTIZIA CAPOVOLTA