Andare in Tv! È il sogno (segreto) di molti perché nella cultura contemporanea “il volto è potere”. Conta non tanto il contenuto ma l’essere conosciuto. Qualche anno fa quando una ricerca aveva chiesto ai ragazzi cosa volessero come regalo per Natale in molti risposero: “andare in tv”. È anche per questo che i programmi sono pieni di volti di bambini che dovremmo invece anzitutto custodire, educare e soprattutto non illudere. Ma dietro di loro ci sono molti genitori che proiettano sui figli quello che non hanno realizzato. E allora li invogliano a cantare, ballare, esibirsi davanti alle telecamere.
Se è davvero così le agenzie educative e gli operatori della comunicazione devono fare cultura televisiva. L’asticella culturale va alzata. La Tv ha delle regole e dei comandamenti che, se si infrangono, diventano come dei boomerang e finiscono per distruggere chi di immagine vuole costruirsi.
È per questo motivo che ho scelto di dialogare con un giornalista Tv, Antonello Riccelli, di Telegranducato di Toscana, vice presidente dell’Ucsi nazione e direttore del sito specializzato di comunicazione www.ucsi.it La sua analisi fa emergere 10 segreti per un corretto servizio televisivo che potremmo sintetizzare così:
- Sapere scrivere il pezzo
- rispettare la volontà dei fatti
- condividere il lavoro
- prepararsi rigorosamente
- costruire la trama e l’ordito della notizia
- curare le parole
- comprendere persone e fatti
- conoscere il tuo interlocutore
- scegliere suoni, musica e grafica
- fare un prodotto multimediale
Ci spieghi cosa significa per lei educare al videogiornalismo?
Quando entro in un’aula scolastica e spiego cosa serve per “scrivere un buon pezzo giornalistico per la televisione” noto subito gli studenti (di solito incontro quelli che stanno per finire le superiori e dunque hanno 17-18 anni) che prima si guardano tra loro, poi ti scrutano come se incontrassero un alieno. Pensano con una certa sufficienza: “cosa dice questo?”, “è la televisione, mica il giornale”. Lascio un po’ fare, poi tiro le fila: un servizio per un telegiornale (e, in analogia, anche per internet) prima si scrive, poi si legge. Non si improvvisa niente, il “pezzo” è l’armoniosa composizione di un puzzle, fatto da almeno quattro tasselli fondamentali: lo stand up (o se preferite l’incipit, l’inizio), lo speech, le voci, i contenuti live. Nel costruirlo, premetto, sono necessarie due condizioni: il rispetto sostanziale della verità dei fatti e il buonsenso, quello che il poeta latino Orazio poneva alla base, appunto, di ogni opera scritta, che porta con sé anche un’evidente implicazione etica.
Il giornalista televisivo è un solitario?
Non può esserlo. È vero con il microfono e la telecamera, e ancora prima con il taccuino su cui ogni giovane aspirante cronista viene invitato a segnare in ordine sparso le vicende di cui dovrà parlare. È un esercizio, d’accordo, ma cerco sempre di renderlo molto realistico. E così immaginiamo ogni tipo di evento, di cronaca, di politica, di sport…, come se fossimo in un tg importante (e ogni testata ha il suo dna, la sua impronta, che i ragazzi mostrano di conoscere molto bene). Siamo pronti? Terza premessa: la condivisione. E qui c’è un’altra esitazione. Da un lato perché il giornalismo è visto come un mestiere individuale, frutto della capacità e della preparazione di un singolo, dall’altro perché la scuola, con le sue dinamiche, non abitua affatto al lavoro di squadra. L’interrogazione e il compito attribuiscono un punteggio ad uno studente e non al gruppo, ad una eccellenza non ad un insieme di conoscenze.
Quanto è importante studiare e osservare per far nascere un servizio televisivo?
A questo punto, per ogni servizio, creo un gruppo, una sorta di newsroom ante litteram. Ci sono un paio di intervistatori, tre o quattro operatori muniti di telecamera, due ragazzi a buttare già il testo, un bravo osservatore degli ambienti (per l’estetica della ripresa) e soprattutto un coordinatore, da cui passa ogni piccola e grande decisione. Adesso comincia il lavoro, che prima di tutto è di studio e di osservazione. Niente riprese, nessuna intervista, finche non si è approfondito il tema. Di solito ci vuole una mattinata intera, a noi giornalisti è concesso molto meno tempo. Si parla di inquinamento? Via con lo studio dei dati e delle norme. Ci occupiamo di incidenti stradali? Verifichiamo le statistiche, le cause, le conseguenze. E’ un approccio che piace anche agli insegnanti, che si solito si fanno coinvolgere con grande entusiasmo e passione. Con una base solida di conoscenze si comincia ad osservare l’ambiente nel quale realizzeremo il servizio vero e proprio. E si tengono in considerazione anche alcune questioni apparentemente secondarie, come la quantità di luce, la possibilità o meno di effettuare riprese in una determinata situazione, il numero e la qualità degli interlocutori che potenzialmente possiamo coinvolgere.
Quali sono gli ingredienti di ciò che gli anglofoni definiscono storyboard?
Con una trama ben costruita si mettono insieme i tasselli di cui ho già parlato. Si intrecciano testo e interviste, si inseriscono suoni e immagini, si decide anche dove collocare il giornalista e i suoi intervistati. Di solito, in classe, lo facciamo in un secondo momento, perché anche questo richiede il suo tempo. Prendiamo un foglio e lo dividiamo in due; a sinistra scriviamo l’articolo per la tv, a destra ogni nota utile alla sua realizzazione. E’ un esercizio che faccio ancora oggi, dopo oltre 25 anni di lavoro in una seria emittente locale della Toscana, ma ormai mi sono allenato a farlo mentalmente. Vi garantisco che funziona, ed è decisivo per la riuscita del lavoro!
Lo stand up come è utile costruirlo e pensarlo?
Si decide subito cosa mettere all’inizio del pezzo e, solo se serve (certo anche nella professione c’è chi esagera un po’ con il protagonismo), anche dove collocare il giornalista che lo dice (attenzione, non lo improvvisa mai, lo ha solo imparato a memoria dopo averlo scritto). Sono due i criteri che adotto personalmente e che cerco di trasmettere ai più giovani: nello stand up voglio utilizzare una sola frase (al massimo con una subordinata) e non voglio copiare il titolo o il lancio, per evitare da un lato enfatizzazioni eccessive e dall’altro ripetizioni noiose con il giornalista in studio.
È importante anche la posizione del giornalista che fa lo stand up. Sui fatti di cronaca viene spontanea la scelta, su altre questioni i più giovani tendono a essere a volte un po’ troppo creativi e li devo ricondurre ad un inevitabile sano pragmatismo.
Come nasce un’intervista televisiva?
È facile, all’apparenza, fare le interviste. Nella realtà è uno dei momenti più complessi, perché la relazione diretta con l’intervistato presenta mille variabili (anche di tipo psicologico) e tante incognite (in questo caso per gli studenti, ma in generale per il giornalista). La preparazione che c’è a monte è un ottimo viatico, ma mi torna sempre utile mostrare qualche buon manuale di giornalismo anglosassone. E dunque, ecco le regole (oltre alla prima, la competenza su un determinato avvenimento): conoscere chi è e cosa rappresenta l’interlocutore, non entrare troppo in confidenza, mostrarsi sicuri ma mai superbi e arroganti, non incalzarlo eccessivamente, fare domande corte e chiare, avere in testa uno schema ma poterlo cambiare in ogni momento sulla base della risposta, non rischiare di avventurarsi in sentieri sconosciuti. Sono cardini della mia formazione sul campo, spero lo siano anche nelle scuole di giornalismo.
Davvero la miglior notizia è quella che va in onda come insegnano in Rai?
Il testo ovviamente si inserisce tra lo stand up e le interviste, è la spiegazione del fatto e il filo conduttore tra le parti del servizio. Mi torna utile rivolgere agli studenti una domanda preliminare: è più facile scrivere un tema o fare un riassunto? Anche qui tutti esitano e poi, non volendo più cadere nel trabocchetto di prima, rispondono a mezza voce: è più facile il tema.
Eh sì, il riassunto è complesso, richiede capacità di sintesi e ragionamento, determinazione nell’escludere una parte non significativa o non utile, e volontà di rispettare i tempi previsti. La prima lezione di un giornalista Rai, quando avevo trent’anni, è stata: “la migliore notizia è quella che va in onda”. Perché il lavoro del giornalista televisivo prevede un rispetto sostanziale dei tempi di lavorazione del servizio e soprattutto il divieto assoluto di superare la durata fissata da che guida la redazione, e di solito, in un telegiornale, oscilla tra i 70 e i 90 secondi.
In ogni caso, a prescindere dalla questione dei tempi, ecco alcuni input che lancio: la notizia sta in cima, ogni intervista deve essere ben tagliata, la nostra spiegazione deve essere semplice e accompagnata dalle immagini, occorre sacrificare i dati non rilevanti, bisogna mettersi nei panni della “massa” che ci ascolta.
Quali errori è necessario evitare?
Sono cinque, secondo me. Il primo è quello di voler dire tutto. In tv questo non è possibile, e io faccio sempre l’esempio banale ma efficace della cronaca di una maratona: il giornale pubblicherà tutti i risultati e così farà aumentare le vendite, la televisione dovrà sottolinearne i più importanti e i più significativi per il contesto di riferimento, per esempio quello territoriale. Altro errore grave: non evidenziare la notizia. Quante volte anche i professionisti dell’informazione non sono in grado di far emergere il fatto e magari accentuano opinioni e sensazione, finendo spesso con il risultato di disorientare il pubblico?
Il terzo errore è quello di costruire un testo “solo” scritto. Perché, d’accordo, bisogna scrivere tutto, ma poi bisogna leggerlo (direi quasi “recitarlo”, se questo non portasse una connotazione impropiamente negativa). Molto convincente è la prova che si fa leggendo per intero un articolo qualsiasi del giornale davanti alla telecamera (e poi vedendo e commentando il risultato).
Infine, ultimo segno da matita blu, è non tenere conto del nostro target di riferimento. E’ chiaro che se parliamo di sport in un programma sportivo utilizzeremo un linguaggio più tecnico, se lo facciamo in un telegiornale generalista dobbiamo renderci comprensibili a tutti (e qui torna la questione del buonsenso). Tenere conto di chi guarderà il nostro prodotto insomma richiede anche un’attenzione etica a quello che scriviamo e diciamo, proprio perché tutti ma proprio tutti hanno accesso alla tv e a quello che mostra. Con i ragazzi si instaura sempre un bel confronto, in una dimensione molto laica emergono tante delle istanze e delle preoccupazioni di cui ci facciamo portatori nella nostra associazione, l’Ucsi.
In Tv suoni, musica e grafica sono importanti, ma come sceglierli?
C’è un altro rischio da evitare, quello di sottovalutare il peso delle tessere secondarie del puzzle, essenzialmente i contenuti live, la musica, la grafica. Sono molto attento a valorizzare il “rumore di fondo”, quando caratterizza un evento, perché finisce per dare realismo e concretezza. Sono i suoni del fatto, di quello che accade.
Utilizzo invece la musica in pochi casi, quando magari il pezzo è più didascalico, sullo stile di un documentario. E sulla grafica, che di solito comunque viene decisa a monte dalla testata, cerco solo di essere meno “invadente” possibile. Nome, cognome e qualifica, stop. Senza altri particolari che possono distogliere l’attenzione (a volte, se sono necessari per la comprensione del telespettatore, li inserisco direttamente nello speech).
Nel tempo dell’iper velocità mediatica in cui anche un video può nascere già vecchio… quali consigli ci lascia?
Vi chiederete cosa viene fuori alla fine, dopo sette-otto incontri a scuola e tre-quattro sessioni di riprese e interviste. Di solito un buon servizio, che infatti, liberi come siamo dai troppi vincoli di una tv nazionale, riusciamo anche a mandare in onda suscitando commenti favorevoli. Qualche studente si appassiona, rafforza la convinzione di tentare la strada del giornalismo e soprattutto, alla luce di tutte queste cose, rivaluta la sua idea del giornalismo televisivo. Che non è affatto “improvvisazione”, come forse qualcuno credeva.
Certo, siamo di fronte a cambiamenti epocali, determinati, in questo settore, dalle tv all news e da internet. I tempi (per la costruzione e le verifiche) si accorciano (pericolosamente), la dimensione live si afferma con evidenza e finisce per cambiare e condizionare l’essenza stesso del contenuto giornalistico, la multimedialità ci porta a ottimizzare il lavoro finalizzandolo anche al consumo più frammentato e immediato di internet. Sono sfide importanti, direi decisive anche per il futuro della nostra professione.
Ma, magari, ne parleremo un’altra volta.