Il terremoto del Centro Italia delle prime ore del 24 agosto 2016 è stato terribile. Civiltà Cattolica dedica un focus. L’onda d’urto è stata avvertita anche a molti chilometri di distanza, da Rimini fino a Roma e a Napoli; la faglia, infatti, si è estesa per 25 chilometri, con uno spessore compreso fra 10 e 12 chilometri, e ha cominciato a rompersi nella zona di Accumoli, dove il suolo è sceso di 20 centimetri. Il bilancio è drammatico e ha provocato 297 morti e più di 400 feriti, ma il terremoto ha avuto anche nei giorni seguenti uno sciame di più di 6.000 scosse. I primi soccorritori hanno dovuto constatare che la devastazione «è peggiore di quella dell’Aquila». Uno di loro ha aggiunto: «Mai vista una cosa così» Il Paese sembra aver ritrovato la sua unità intorno allo spirito solidale. Occorre però molto discernimento: anche azioni apparentemente buone possono nascondere cattive intenzioni o speculazioni che dirottano o fanno sparire gli aiuti (come medicine, cibo, vestiario e denaro).
Sembra di sfogliare un copione già scritto, da rileggere ogni volta che si manifesta una calamità. Da uno studio dell’Ordine nazionale degli ingegneri del 2014, fatto in collaborazione con l’ufficio studi della Camera dei deputati, emerge che negli ultimi 44 anni, i 7 peggiori terremoti hanno prodotto 3 miliardi di euro di perdite economiche l’anno e richiesto interventi pubblici per 120 miliardi di euro. Anche quest’ultimo sisma costerà all’Italia almeno 5 miliardi di euro.
La Presidenza della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha stanziato un milione di euro dai fondi dell’otto per mille per far fronte alle prime urgenze e ai bisogni essenziali delle persone colpite. Ma al di là dei tanti aiuti ricevuti le ricostruzioni però non devono illudere: il modello Friuli ha richiesto 10 anni di lavoro.
Per ogni ricostruzione ci sono alcune condizioni da rispettare, come ad esempio l’individuazione delle competenze, dei poteri e delle responsabilità. Sono necessarie procedure semplificate e parametri oggettivi e uguali per tutti per permettere ai lavori aggiudicati di essere realizzati, sia a livello qualitativo sia nella tempistica. Rimane poi il controllo delle autorità sulla qualità dei lavori e sulla solidità finanziaria delle imprese incaricate. D’altra parte, è noto come molte imprese, per tenere prezzi competitivi, risparmino sui materiali e vengano pagate dallo Stato con gravi ritardi.
Il limite di non poter prevedere un sisma e l’impotenza di fermarlo possono essere arginati con la cultura della consapevolezza, della prevenzione e della cura. In questa ricostruzione però si è chiamati a osare di più. Per garantire trasparenza, gli appalti pubblici dovrebbero essere gestiti elettronicamente e controllati online dai cittadini. Per assicurare la prevenzione, varrebbe la pena di introdurre il fascicolo di fabbricato che aveva più volte proposto Francesco Rutelli quando è stato sindaco di Roma e poi ministro dei Beni culturali.
Il progetto «Casa Italia» proposto dal Presidente Renzi, che coinvolge enti, istituzioni, parti sociali e imprenditori, sembra la risposta più ragionevole per rispondere all’urgenza, ma potrà essere efficace solo se troverà collaborazione nelle parti sociali e garantirà ai cittadini trasparenza, completezza e aggiornamento nei dati e nei documenti.
Chiuso il sipario dell’emergenza, che simbolicamente è rappresentata dall’apertura della scuola di Amatrice, le domande che rimangono sono di natura politica: ricostruire perché? Non basta ed è retorico pensare di ricostruire semplicemente le case nel luogo in cui sono crollate. È urgente chiedersi: qual è il progetto politico su quei paesi e in quel territorio? Quali infrastrutture potenziare? Quale idea di sviluppo esiste per quelle vallate scarsamente abitate per investire in strade, acquedotti ecc.? È una ricostruzione che guarda indietro o in avanti? Coinvolgerà le popolazioni e le famiglie del luogo? Rispondere a queste domande significa dare a quei territori anche una ricostruzione spirituale che garantisca futuro, innovazione e un vero tessuto sociale.
Tutto questo per elaborare in concreto, come Paese, il lutto nazionale: se lutto, dal latino lugere, significa piangere, che questo pianto generi una responsabilità condivisa per il futuro.