Il cammino è un’esperienza esistenziale e un’icona del senso della vita. Mi obbliga a camminare “leggero”, scegliendo di portare solamente le cose utili (affetti inclusi) e lasciare quelle che pesano. E poi un passo dopo l’altro per arrivare alla meta… E’ nel cammino che si comprende che si trasforma il mondo solamente con la coscienza di trasformare se stessi.
Questo processo tocca almeno 5 dimensioni spirituali che sono scelte della volotà e del cuore:
– essenzializzandosi
– conoscendosi
– purificandosi
– abbandonandosi
– dimenticandosi
… sono queste dimensioni esistenziali – davvero difficili – che permettono il “ritorno a se stessi”.
Non tutti i cammini sono il cammino
Oggi in Occidente va di moda camminare e fare i pellegrinaggi per purificarsi e fare esperienza. E’ bello e aiuta. In altre parti del mondo ci sono invece milioni di persone che camminano per scappare da luoghi di guerra o di carestia, dove manca acqua e cibo.
La letteratura ci aiuta a capire che ci sono diversi modi per camminare e di interpretare l’esperienza del cammino. Ad esempio il cammino del mitico Narciso che per la sua vanità e insensibilità si innamora di sé e si pietrifica. È il rischio che si corre mentre si diventa uomini. Pensare solo a sé senza pensare agli altri e a Dio.
Esiste anche il modo di camminare di Icaro che sfida Dio volando verso il sole. Fuggire da Creta non era un’impresa molto facile. Ma Icaro sceglie di volare come suo padre Dedalo a cui però disobbedisce e va dritto verso il sole, inebriato dalla velocità delle sue grandi ali. È il cammino di chi pensa che invece di obbedire (ob-audire, sentire con l’Altro) è meglio sfidare Dio e le sue leggi.
Pieno di fascino rimane anche il cammino di Ulisse che lotta contro un destino duro e vince molte prove. Non si sceglie di partire e di ritornare nella propria Itaca, nel luogo cioè da cui era partito.
La sfida è quella di scegliere il cammino di Abramo, quello che chiede di obbedire al comando di uscire dalla propria terra e di andare dove Dio lo conduce. È il cammino degli apostoli che sono chiamati a seguire Cristo fino a Gerusalemme.
Tre testi da meditare. Anzittutto lo scritto di Buber
Ci sono tre testi che ci possono aiutare a comprendere il senso del cammino.
Anzitutto “Il cammino dell’uomo” di martin Buber.
Questo breve e densissimo libretto parte con una domanda: Dove sei uomo? E si conclude con un’altra domanda a cui il Signore deve rispondere: “Dove abita per te Dio?”.
L’autenticità personale, sociale e politica va ricercata in un cammino verso se stessi. Sembra qualcosa di banale e di troppo semplice ma le violenze e le guerre, le miserie e le tensioni sono esattamente un allontanamento da se stessi.
Ma attenzione: non c’è un cammino unico. Non si devono imitare cammini meravigliosi già fatti da altri: si tratta di cercare e trovare il cammino particolare per me.
Buber sottolinea: “Non ci sarà chiesto perché non sei stato come Mosé?”, ma “Perché non sei stato te stesso?”. La vita non può semplicemente essere un accumulo di esperienze diverse e opposte tra loro, ma occorre fermezza e fedeltà che rendono il cammino personalizzato. Altrimenti si vive da adultescenti, vale a dire persone adulte che vivono come eterni adolescenti, le loro crisi e i loro smarrimenti.
L’unificazione passa per l’accoglienza di un comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutto il tuo essere, con tutte le tue forze”.
Sulla felicità
C’è poi un secondo testo che si intitola “Sulla felicità”. Nel 1942, quando Teilhard de Chardin era esiliato in Oriente, scrive una meditazione sulla felicità, tradotta in italiano per la prima volta nel 1970.
Gli uomini, secondo il gesuita, si dividono in tre gruppi che partono per scalare una montagna…
riporto qui, uno dei brani più suggestivi:
“Immaginiamo un gruppo di escursionisti partiti per una vetta difficile (…) possiamo immaginarci il gruppo diviso in tre. Alcuni rimpiangono di avere lasciato l’albergo (poi) decidono di tornare indietro.
Altri non sono dispiaciuti per la partenza. Il sole brilla, la vista è bella. Ma perché salire più in alto? Non è meglio godersi la montagna dove ci si trova, in mezzo ai prati o nel bosco? E si sdraiano sull’ erba o esplorano i dintorni, aspettando l’ora del pic-nic. Gli ultimi, infine, i veri scalatori, non staccano gli occhi dalle cime che hanno deciso di raggiungere. E ripartono in avanti.
Degli stanchi, dei buontemponi, degli ardenti. Tre tipi di Uomo,
che ciascuno di noi porta in germe nel profondo di se stesso, e fra i quali, da sempre, si divide l’Umanità che ci circonda.
Dopo aver parlato della categoria degli “stanchi” e dei “buontemponi” l’autore parla degli ardenti:
“Qui mi riferisco a quelli per cui la vita è un’ ascensione e una scoperta. Per gli uomini che formano questa terza categoria. non solo è meglio essere che non essere, ma c’è sempre la possibilità – ed è l’unica che interessi – di diventare qualcosa di più. Per questi conquistatori appassionati d’avventure, l’essere è inesauribile – non alla maniera di Gide, come un gioiello dalle mille sfaccettature, che si può girare in tutti i versi senza mai stancarsene, ma come un ,fuoco di calore e di luce, al quale è possibile avvicinarsi sempre più. Si possono canzonare questi uomini, trattarli da ingenui o trovarli noiosi. Ma dopo tutto sono loro che ci hanno fatto, e che preparano la Terra di Domani. .
Pessimismo, e ritorno al passato, godimento del presente, slancio verso l’avvenire. Tre atteggiamenti fondamentali, di fronte alla Vita.
E da questo, inevitabilmente, al centro stesso del nostro problema, ecco tre forme contrastanti di felicità.
1) Felicità di tranquillità. Nessuna noia, nessun rischio, nessuno sforzo. Diminuiamo i contatti, limitiamo le necessità – abbassiamo le luci – rientriamo nella nostra conchiglia. L’uomo felice è quello che penserà, sentirà e desidererà di meno.
2) Felicità di piacere, piacere immobile, o più ancora. piacere continuamente rinnovato. Lo scopo della vita non è agire e creare, ma approfittare. Ancora meno sforzo, dunque, o quel tanto necessario per cambiare coppa e liquore. Distendersi il più possibile, come la foglia ai raggi del sole, cambiare posizione a ogni istante per sentire di più: ecco la ricetta della felicità. L’uomo felice è quello che saprà gustare l’istante, che tiene fra le mani nel modo più completo.
3) Felicità di crescita o di sviluppo. Per questo terzo punto di vista. la felicità non esiste né ha valore per se stessa, cioè come oggetto che possiamo inseguire e di cui possiamo impadronirci, ma non è altro che il segno, l’effetto e come la ricompensa dell’azione convenientemente guidata. «Un sottoprodotto dello sforzo» diceva Aldous Huxley. Non basta, dunque come suggerisce il moderno edonismo, rinnovarsi in un modo qualsiasi, per essere felici. Nessun cambiamento beatifica (rende felici) a meno che non si agisca avanzando e in salita”.
L’uomo felice è dunque colui che, senza cercare direttamente la felicità, trova per di più inevitabilmente la gioia nell’atto di giungere alla pienezza e al punto estremo di se stesso, in avanti”.
Il discernimento per non fermarsi
Il terzo testo è scritto da sant’Ignazio di Loyola. E’ l’antidoto per non bloccare il cammino o addirittura per non farsi assalire dalla nostalgia di ritornare indietro.
Scrive S. Ignazio: Similmente, il nemico si comporta come un capo militare: dopo aver piantato la tenda di comando e osservato le postazioni o la posizione di un castello, lo attacca dalla parte più debole. Così il nemico ti osserva da tutte le parti ed esamina tutte le tue virtù teologali, cardinali e morali, e ti attacca e cerca di prenderti dove ti trova più debole (E.S., n. 327).
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VITA VIA EST! E’ così, la vita è un cammino.
Si inizia un cammino per una scelta di cuore e di volontà, si personalizza con la fermezza e la fedeltà, si fortifica mediante il dono dell’incontro. Un incontro con viandanti che collaborano nel “ritorno a se stessi” e alla propria identità dopo qualche inevitabile deviazione.