Riporto qui la traccia della meditazione tenuta nell’Aula Magna dell’Università Pontificia del Laterano il 22 giugno 2016. Si tratta di una meditazione spirituale per un discorso orale.
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Grazie mons. Leuzzi per l’invito che mi ha rivolto. Vorrei anch’io salutare le autorità presenti, la Presidente della Camera, i signori ministri, la signora sindaco, e dire grazie a ciascuno di voi impegnati a servire le istituzioni pubbliche.
Il vostro è un compito importante che ho conosciuto da vicino, è a volte un compito ingrato che si inscrive in orizzonte preciso: tradurre in scelte quotidiane i princìpi scolpiti nella parte inizialie della Costituzione italiana che difendono la dignità umana.
Pensando a voi, a me colpisce la risposta che il più grande della storia, il Re Salome, il figlio di Davide, aveva dato a Dio quando gli aveva chiesto: “Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò”. Salomone gli rispose: “Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9). Una risposta che stupì lo stesso Dio che pesava gli chiedesse fama, onori e gloria.
Il Giubileo della Misericordia – l’Anno santo straordinario indetto dal Papa, iniziato l’8 dicembre scorso – è anzitutto il tempo per distinguere il bene dal male: un tempo per sostare e porsi alcune radicali domande: “chi sono io?”, “verso dove vado”, “davanti a chi un giorno dovrò essere giudicato” per dirla con le parole di Buber nel suo volumetto Il Cammino dell’Uomo.
Sotto lo sguardo di Dio tutto diventa più sereno, ma anche molto più vero e autentico.
Per la scrittura l’anno giubilare è il tempo della memoria dei doni di Dio all’uomo. Come la vita, la terra, la fraternità, la solidarietà, la libertà unita alla responsabilità. Per riconoscerli, Israele doveva riposare: non si seminava, non si mieteva né si vendemmiava, si raccoglieva soltanto l’indispensabile per sopravvivere. Venivano redistribuite le terre e rimessi i debiti, nelle vendite e negli acquisti nessuno faceva torto al prossimo, gli schiavi erano liberati (cf. Lv 25, 10-15).
Tutto questo per ricordare che Dio è il Signore della nostra vita.
Questa sera varcheremo insieme al Porta Santa. Per farlo, con molta umiltà, vorrei suggerirvi di meditare sul significato esistenziale e spirituale di parole: il verbo vedere; la parola soglia, la parola discernimento.
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La prima parola è il verbo vedere. Nella scrittura vede chi conosce interiormente. È per questo che abbiamo letto il brano del cieco Bartimeo al capitolo 10 del Vangelo di Marco.
L’esperienza personale della risurrezione del Signore risponde a questa dinamica: lo vede solamente chi lo conosce.
La guarigione di Bartimeo è l’ultimo miracolo del Vangelo di Marco. Il primo miracolo è quello della liberazione dell’indemoniato della sinagoga che dice la vittoria di Cristo sulle due forze del male che abitano il nostro cuore e gridano “sei venuto a rovinarci”.
Quest’ultimo miracolo dice la guarigione della cecità dell’uomo per poter vedere cosa il suo Signore fa per lui. È per questo che il tema del racconto non è la guarigione…ma è la sequela! Il modello da imitare non sono i discepoli ma proprio il cieco. Infatti, poco prima i discepoli avevano fatto al Signor una domanda sul potere: chi è il più grande tra noi? Nel Vangelo di Giovanni la risposta è “colui che serve”.
È il servizio che ci rende potenti davanti agli uomini.
Se questa pagina è stata una buona notizia per la vita di Bartimeo lo può essere anche per noi oggi. Ma perché si attuai occorrono due condizioni:
– la preghiera. Il cieco grida: “Signore Gesù abbi pietà di me!”. Per il mondo ortodosso questa è una delle preghiera principali, è per loro una giaculatoria medicinale.
– la fede. Occorre scegliere di fidarsi e affidarsi con atto affettivo. “Vai la tua fede ti ha salvato”.
Questo uomo alza la voce sul rumore della folla che lo ignora; è solo e al buio e grida la sua disperata speranza. Il grido è più che la parola, c’è dentro corpo, energia, dolore, bisogno, ci sono le lacrime ma anche le gioie.
Poi le tre parole che arrivano dalla folla: coraggio, alzati, ti chiama che ci rimandano al nostro triplice ministero. Tre verbi che siete chiamati a declinare laicalmente.
“Coraggio!”: incoraggiare innanzitutto, dare cuore e speranza, a tutti quelli che gridano nel dolore. Le istituzioni democratiche devono avere parole di speranza.
“Alzati!”: è lo stesso verbo usato per descrivere la risurrezione. Rimettere in piedi, aiutare a ripartire, e mai gettare a terra nessuno, mai demolire nessuno. In politica si attaccano le idee e mai le persone.
“Ti chiama”: aiutare a scoprire la propria vocazione, ciò che realizza la nostra vita. è questo l’impegno delle istituzioni ad investire in educazione, che non è insegnare, mettere dentro, ma educare significa tirare fuori ciò che uno può diventare.
Si vede ciò che si conosce interiormente. Mi permetto di suggerirvi di fare una grande contemplazione dei luoghi che amministrate dove la gente vive, spera e soffre: gli ospedali, le carceri, i centri di accoglienza, le mense, le piazze, i quartieri, le chiese, i vostri uffici….
In queste settimane mi è capitato di dovere “abitare” un reparto di rianimazione, occuparmi di carcere e interessarmi della mensa degli Astalli in cui i rifugiati politici fanno lunghe file per una minestra… da questi luoghi relazionali si esce trasformati. E le vostre politiche purificata.
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Seconda parola: soglia. Noi questa sera attraverseremo una soglia perché la nostra vita cammina su una soglia. Per alcuni è “una fine” da cui difendersi, per altri è “il fine” a cui tendere, per altri ancora è un “con-fine” da abitare umanamente con il diverso da te.
L’uomo di fede è sbilanciato sull’aldilà che vivifica ciò che è caduco e perituro perchè “il dolore e la morte non vinceranno”, scriveva Turoldo.
Quando attraverseremo la soglia della Porta Santa può essere importante chiedersi: “cosa significa abitare la soglia?”. “Cosa significa a livello sociale e politico saper potare per permettere alla vita di sbocciare senza amputare i processi”.
I temi che voi trattate quotidianamente sono tutte soglie da attraversare. La paura blocca la speranza dà forza per attraversare la soglia. Citiamo alcune soglie che riguardano la nostra società e che hanno bisogno di risposte:
– Tra il 2015 e il 2016 arriveranno 1,5 milione e mezzo di migranti.
– In Italia una persona su 15 ha più di 80 anni, nel 2060 saranno il doppio.
– In Europa nel 2060 ci mancheranno 260 milioni di persone in età lavorativa per mantenere il welfare state.
– I centri commerciali stanno diventando le cattedrali del nostro tempo.
– Da una parte le tante scelte a tempo e dall’altra la cultura del tatuaggio che marchia la nostra pelle “per sempre” per esprimere un bisogno spirituale che non si riesce a gestire dentro (13 italiani su 100 si tatuano).
– 6 giovani su 10 vogliono lasciare il Paese.
– Il Paese si è trasformato in un grande casinò a cielo aperto con il gioco d’azzardo diffuso.
– Il 5% delle famiglie entra nella rete dell’usura.
– Viviamo la perdita di un patto generazionale adulti e giovani spesso poco garantiti e, in molti casi, sottopagati.
La soglia va dunque attraversata, per dare vita al mondo. E questo passa anche attraverso le vostre scelte.
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La terza parola è discernimento fatto nella coscienza morale. Si tratta di un’arte che vi consiglio di coltivare.
«L’uomo — leggiamo in Gaudium et spes n. 16 — ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore; obbedire [ad essa] è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità».
Thomas More che oggi ricordiamo come il vostro patrono, scrive poco prima di essere giustiziato: “Mia cara Margherit, io so che, per la mia cattiveria, meriterei di esser abbandonato da Dio, tuttavia non posso che confidare nella sua misericordiosa bontà, poiché la sua grazia mi ha fortificato sino ad ora e ha dato tanta serenità e gioia al mio cuore da rendermi del tutto disposto a perdere i beni, la patria e persino la vita, piuttosto che giurare contro la mia coscienza”.
Non si viola quella relazione che nel segreto ci fa risuonare le sue voci. Quando occorre è importante anche recuperare l’obiezione di coscienza.
Quando sono stato ad Arica, nel deserto di Atacama tra il Cile e il Perù, noi gesuiti vivevamo vicini al capo del narcotraffico del luogo. La loro organizzazione era molto più forte di noi: avevano potere, armi, soldi, davano lavoro nero ai ragazzi.
Ma davanti al dolore e alla morte la loro prepotenza si arrestava. Lì ho capito l’importanza di costruire il bene e la forza che ha la preghiera tra noi.
Ignazio di Loyola paragona la nostra interiorità a un grande campo abitato da voci che spingono a fare il male e altre a fare il bene. Le prime ci fanno perdere e ci dividono interiormente le seconde ci fanno vivere una vita integra e serena.
Ecco cosa scrive sant’Ignazio nella 1° regola di discernimento nel 1523 scrive:
“Quando vai di male in peggio, le voci del male di solito ti propongono piaceri apparenti facendoti immaginare piaceri e godimenti, perché tu persista e cresca nella tua schiavitù. Invece le voci del bene adottano il metodo opposto: ti pungono e rimordono la coscienza, per farti comprendere il tuo errore” (Esercizi Spirituali, n. 314).
Ma come facciamo a capire quando ci parla il male (il nemico della nostra natura) e quando ci parla Dio?
Il male usa i criteri della droga: per fare effetto ha bisogno della dose in più.
L’eccesso di cibo e di alcool, le varie infedeltà, la prostituzione, l’uso di droga, la corsa sfrenata alla carriera, la ricerca del potere finalizzato a se… danno piacere sul momento. Ma non danno felicità! E rischiano di rovinare le cose belle costruite in una vita! Perché tutto questo è caduco per la Scrittura.
Il bene lo paghi subito, ha un costo nel farlo; il male si offre gratis, ma lo paghi dopo e tanto, in più non ti appaga. Quando ti impegni a cambiare vita e a fare il bene Dio ci è vicini con la sua consolazione: ti dà coraggio e gioia, forza e lucidità, pace e fiducia! E ti fa avvertire nel tuo cuore una voce che dice: “forza è possibile”!
Insomma, il fondamnto di ogni nostra azione e decisione parte e ritorna nella nostra coscienza. E allo stesso modo come esiste una coscienza personale va ascoltata anche la coscienza morale sociale che vive con gli stessi criteri. È questa che va riscoperta e rilanciata come è stato per i costituenti che intorno alla Costituzione vissero un evento di coscienza sociale condiviso.
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Santa Caterina da Siena rivolse ai politici del suo tempo un monito che risuona ancora attuale: «Non si può essere buoni politici se prima non si signoreggia se stessi».
Signoreggiare se stessi non significa essere perfetti ma vuol dire non tradirsi. E l’antidoto è servire e assecondare la forza della vita: essere generativi, creare luoghi di incontro, investire sui giovani, rilanciare la cultura delle istituzioni, affermare nello spazio pubblico progetti basati sull’antropologia della dottrina sociale della Chiesa.
Abbiamo bisogno di ritrovare fiducia, rilanciare un sogno per costruire l’Europa dei popoli come quello di De Gasperi ed altri politici non credenti. E poi lavorare insieme per la coesione sociale per arrestare la crisi della politica travolta dagli individualismi, dalla corruzione e dal clientelismo.
Un’ultima raccomandazione. La vita di fede non si può giocare a tavolino, ha bisogna di incarnarsi. È compiendo atti misericordiosi che si comprende la misericordia di Dio per me. Anche per Aristotele l’uomo diventa virtuoso se esercita la virtù.
Per questo, la Porta Santa, secondo Francesco, è là dove noi compiamo un’opera di misericordia, sia essa corporale — dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, ospitare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti —, sia essa spirituale: istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, consolare gli afflitti, correggere i peccatori, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.
È davvero quello che ci auguriamo. Così, attraversando la Porta Santa potete rispondere a Dio con le parole di Salomone: “Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”.
Originale e ben riuscita la declinazione per i politici delle letture liturgiche, con i rinforzi di Salomone, di Caterina e di Ignazio. Molto ricca l’eroe estiva delle parole chiave del Giubileo. Capisco che la circostanza era diplomaticamente assai complessa. La cultura gesuitica e la semplicità francescana hanno reso possibile e soprattutto, mi sembra, spiritualmente fruibile la meditazione. Dovendo intervenire in altra circostanza con un discorso per i politici, darei un po’ più di spazio alla gestione etica e spirituale della conflittualità inevitabile fra politici, entro e fuori i propri raggruppamenti partitici e nei rapporti tra basi e vertici. Luciano Corradini