Per quale motivo Governo e Sindacato invece di incontrarsi si scontrano? Quali sono le ragioni della crisi del sindacato italiano? In quale modo il sindacato si può riformare e autoriformare? Perchè è in corso la destrutturazione di uno dei corpi intermedi più importanti per la Costituzione?
A queste domande rispondo nello studio La notte del sindacato pubblicato su La Civiltà Cattolica.
Ritrovare un’identità davanti ai lavoratori
La perdita d’identità del sindacato tocca la natura, la funzione e il ruolo della sua missione sociale. Ai sindacati confederali sono iscritti circa 12 milioni di lavoratori (5,7 milioni alla Cgil, 4,4 milioni alla Cisl e 2,2 milioni alla Uil), ma solo il 10% sono giovani. Il Governo, dopo aver archiviato la concertazione sindacale e tagliato i fondi ai patronati, sta pensando di introdurre per legge un salario minimo legale che metterebbe a dura prova l’esistenza stessa del sindacato.
Le tensioni interne ai tre sindacati confederali — per l’opposizione della Cgil e della sua componente metalmeccanica, la Fiom — rimangono il principale ostacolo per definire una radicale riforma.
Un salario minimo legale?
In questo momento storico i sindacati hanno più paure che proposte, sono più rivolti a rimpiangere il passato che a sognare un nuovo modello per il futuro. Certo, temono che il Governo imponga loro di registrarsi per sottoporsi al controllo dello Stato e adempiere il dettato costituzionale, oppure che imponga loro il modello francese che abilita alla contrattazione collettiva solamente quei sindacati che, sottoponendosi a test periodici, diano prova di essere rappresentativi. Tuttavia, la vera spada di Damocle per il sindacato è l’introduzione per legge di un salario minimo legale. Questa scelta metterebbe a dura prova l’esistenza stessa del sindacato, perché sottrarrebbe il potere di individuare attraverso la contrattazione collettiva i minimi retributivi, che sino ad oggi esso ha esercitato in via esclusiva. I tesserati ancora in attività non arrivano alla soglia dei 6 milioni. Si tratta del 25% rispetto al totale dei lavoratori in attività; iscritti al sindacato sono il 40% di pensionati e il 10% di giovani. Con una percentuale di questo genere, possono i sindacati essere ancora rappresentativi per tutti?
Nel dibattere culturalmente il destino del sindacato è importante riconoscere il merito storico di argine nella lotta al terrorismo e negli accordi sull’inflazione, che hanno consentito all’Italia di entrare nell’Unione Europea con le carte in regola.
Un primo passo è rappresentato dall’autoriforma della contrattazione — con il rafforzamento di quella di secondo livello — e la costruzione di un sindacato moderno che non dica sempre e solo «no» alle imprese, a volte schiacciate da tassazione, lungaggini burocratiche e assunzioni complesse.
Meno legge più contrattazione e tutele
Il nuovo corso del sindacato potrebbe consistere nell’appoggiare con più fermezza la riforma del Terzo Settore, che rappresenta per l’Italia una svolta culturale più che politica: in essa si promuovono l’impresa sociale e la responsabilità degli operatori del settore a diventare produttivi per finanziare i propri scopi, creare occupazione, senza snaturarne la missione sociale .
Nel suo ultimo editoriale pubblicato sul Sole 24 Ore del 21 marzo 2002, due giorni dopo il suo barbaro assassinio, Marco Biagi lasciò scritto: «Ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio, anche con tensioni sociali, insomma pagando anche prezzi alti alla conflittualità». Meno legge e più contratto è stato l’insegnamento di Biagi, e questo vale sia per il Governo sia per il sindacato, che auspichiamo si incontrino di nuovo non per lavorare l’uno contro l’altro, ma a favore del Paese.
Nei tempi supplementari che rimangono sono urgenti la digitalizzazione, ripensare il diritto di sciopero, la protezione dei nuovi lavoratori in proprio e il rilancio del ruolo sociale come fondamento della vita democratica.
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