Quando a Ignazio di Loyola chiesero quale fosse il modo di pregare più importate per lui rispose: “l’esame di coscienza” [1]. Ad ogni gesuita chiede di farlo due volte al giorno, prima di pranzo (al suono della campana) e prima di coricarsi alla sera (Costituzioni n. 342). Ma ne parla anche negli Esercizi spirituali (nn. 24-43).
Si tratta di un’antica pratica, Ignazio la rende famosa ma esisteva già nelle scuole filosofiche dell’antica Grecia come mezzo per stimolare il pregresso etico. Si praticava da tempo in Cina e in India, poi la adottarono i pitagorici, successivamente i Padri e i monaci.
Si tratta di un esercizio di preghiera che permette di scoprire dove e quando ho incontrato il Signore nella giornata trascorsa, tuttavia come ogni esercizio richiede pratica e allenamento per vederne l’efficacia.
Quando farlo? Una volta al giorno per 10/15 minuti. Come farlo? Mi guardo come in un film e vedo come è andata la mia giornata: cosa ho fatto e che cosa ho mancato di fare e soprattutto come ho vissuto. Nel guardarmi mi vedo come Dio mi vede, con il suo sguardo ricco di misericordia. Poi mi chiedo: sto sviluppando modi di agire che approvo o sto cadendo in modi di agire che la mia coscienza respinge? A volte potrei concentrarmi su aspetto particolare che sto facendo o che manco di fare e su quella concentrare l’attenzione per migliorarla.
La letteratura moderna lo chiama “esame di consapevolezza” che permette alla memoria di abbracciare l’intelligenza per capire cosa e come abbiamo vissuto. Non è anzitutto un esame di perfezione o imperfezione moralistica, ma è riconoscere dove ho incontrato il Signore e dove gli ho girato lo sguardo per evitare di incontrarlo.
Ecco cinque passaggi pratici che ti possono aiutare a fare l’esame di coscienza:
- Primo. Prendo tempo per ringraziare di ciò che ho vissuto nella mia giornata. Lavoro su dettagli importanti, quasi come un bambino: per esempio, ringrazio Dio per il sole o per la pioggia, per i mezzi che ho a disposizione, per una telefonata di un amico, per aver trovato le energie di completare un lavoro a tarda sera. Ricordo qualche emozione o desiderio che ho accarezzato e per il quale non posso ringraziare Dio e che mi allontanano dalla sua presenza. Faccio memoria anche di ciò che stride in coscienza.
- Secondo. Dopo aver ringraziato, chiedo a Dio di aiutarmi a vedere come sto crescendo, attraverso i doni che ho e le resistenze che è bene che chiamo per nome le sue radici: stanchezza… generosità, bontà… invidia, gelosia.
- Terzo. Esamino con cura che cosa mi dicono le mie azioni, omissioni, pensieri, parole, desideri sulla mia relazione con Dio, con me stesso e con gli altri. Ciascuno di noi trova un buon modo per fare questo. A volte un singolo evento emerge in modo drammatico, per esempio: ho perso la pazienza in modo esagerato; ho avuto una gioia immensa per una piccola notizia; sono stato restio a prendere una decisione; ho speso troppo tempo su un piccolo lavoro. Ho sprecato tempo davanti a social o alla tv. Pazientemente, chiedo a me stesso che cosa volesse dire la mia azione o il mio atteggiamento. Era animato da amore o paura? Quanto e come mi coinvolgeva? Cosa mi sono detto o taciuto? Posso anche esaminare la giornata facendomi aiutare anche da piccoli schemi o da un diario: sono soddisfatto di quello che faccio? C’è poi la “purificazione” dei risentimenti con amici/colleghi/familiari. Li devo guardare in faccia senza continuare a dare la colpa agli altri. Di nuovo, chiedo il significato di ciò che ho vissuto e mi relaziono al Signore.
- Quarto. Porto nella preghiera quello che ho imparato, parlando a Dio e dicendogli qualsiasi cosa che io abbia bisogno di dirgli: un vecchio risentimento, che mi sembra impossibile da eliminare; un’abitudine non buona da cui non riesco a liberarmi; ecc. Chiedo a Dio che mi insegni ad accogliere il suo insegnamento.
- Quinto. Guardo a domani e decido come agire, mi affido a Dio per fare sbocciare la mia vocazione nel modo e il mio equilibrio personale.
La preghiera “luce gentile” di Newman sulla coscienza
- Conducimi tu, luce gentile,
conducimi nel buio che mi stringe,
la notte è scura la casa è lontana,
conducimi tu, luce gentile.
- Tu guida i miei passi, luce gentile,
non chiedo di vedere assai lontano
mi basta un passo, solo il primo passo,
conducimi avanti, luce gentile.
- Non sempre fu così, te non pregai
perché tu mi guidassi e conducessi,
da me la mia strada io volli vedere,
adesso tu mi guidi, luce gentile.
- Io volli certezze dimentica quei giorni,
purché l’amore tuo non m’abbandoni,
finché la notte passi tu mi guiderai
sicuramente a te, luce gentile. Card. J.E. Newman
[1] F. Occhetta, «Coscienza morale e il governo di sé», in La Civiltà Cattolica, 2009 III, 29-41.
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