Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov
Parte III Aleša, capitolo IV Cana di Galilea
«Era già molto tardi per il monastero, quando Aleša giunse all’eremo; lo fece entrare il frate guardiano da un ingresso speciale. Erano appena suonate le nove: l’ora del riposo e della pace, dopo un giorno tanto angosciante per tutti. Aleša aprì timidamente la porta ed entrò nella cella dello starec, dove ora c’era la sua bara. Oltre a padre Paisij ritiratosi a leggere il Vangelo sulla bara e al novizio Porfirij, esausto per la conversazione della notte precedente e per il trambusto di quella giornata, che dormiva sul pavimento dell’altra stanza del suo pesante, giovano sonno, nella cella non c’era nessuno. Benché avesse sentito entrare Aleša, padre Pajsij non aveva neanche guardato dalla sua parte. Aleša si tenne a destra della porta in un angolo, si inginocchiò e cominciò a pregare. La sua anima era traboccante, ma in modo confuso, e nessuna sensazione emergeva, manifestandosi troppo, anzi, una scacciava l’altra in una specie di rotazione quieta e regolare. Ma si sentiva una dolcezza in cuore e stranamente non se ne stupiva. Di nuovo vedeva davanti a sé quella bara, quel morto tanto prezioso completamente coperto, non aveva in animo quella compassione tormentosa, sorda, intrisa di pianto, come prima di mattina. Davanti alla bara, appena entrato, era crollato come davanti a una immagine sacra, ma era gioia, gioia che splendeva nella sua mente e nel suo cuore. Una finestra della cella era stata spalancata, s’era cambiata l’aria e fatto freschino, “allora, l’odore si era fatto più forte, se si si sono decisi a spalancare la finestra”, pensò Aleša. Ma anche questo pensiero dell’odore di decomposizione, che poco prima gli era sembrato così orribile e vergognoso, ora non suscitò in lui l’angoscia di prima e lo sdegno di prima. Cominciò a pregare quieto, ma ben presto si accorse egli stesso di stare pregando quasi macchinalmente. Frammenti di pensieri gli balenavano nell’anima e si incendiavano come stelline, e lì subito si spegnevano, alternandosi con altri, ma in compenso nella sua anima regnava un che di integro, saldo, consolante e lui stesso ne aveva consapevolezza. A tratti cominciava ardentemente una preghiera, aveva un tal desdierio di ringraziare e amare… Ma una volta iniziata la preghiera, passava all’improvviso a qualcos’altro, si faceva pensieroso, dimenticava la preghiera e anche quello che l’aveva interrotta. Stava per mettersi ad ascoltare quello che leggeva padre Paisij, ma davvero esausto, piano piano cominciò a sonnecchiare…
“Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea”, leggeva padre Pajsij, ” e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli”.
“Le nozze? Cos’è… le nozze”, frullò come un vortice nella mente di Aleša, “anche per lei c’è felicità… è andata al banchetto… No, non ha preso il coltello, non ha preso il contello… E’ stata solo una parola “patetica” Be’… le parole patetiche vanno perdonate, assolutamente. Le parole patetiche consolano l’anima… senza il dolore sarebbe troppo insopportabile per gli uomini. Rakitin se ne è andato per il vicolo. Fino a quando Rakitin penserà alle offese, se ne andrà sempre per il vicolo… Mentre la via… la via è larga, diritta, luminosa, cristallina e c’è il sole alla fine… Ah!… che cosa stanno leggendo?”
“Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino»”, sentì Aleša.
“Ah, già, qui mi sono perso qualcosa, e non volevo perderlo, è un passo che amo: è Cana di Galilea il primo miracolo. Ah, quel miracolo, quel caro miracolo! Non il dolore, ma la gioia della gente è venuto a visitare Cristo e compiendo un miracolo per la prima volta ha contribuito alla gioia della gente. «Chi ama la gente, ama anche la loro gioia…» Questo ripeteva ogni istante il defunto, era uno dei suoi pensieri più importanti… Non si può vivere senza gioia, dice Mitja… Già, Mitija… Tutto ciò che è vero e bello è sempre colmo di perdono per tutto, anche questo era lui che lo diceva…”.
“E Gesù le dice: Che ho da fare con te, o donna? L’ora mia non è ancora arrivata. Dice la madre ai servitori: tutto quello che vi dirà, fatelo”
“Fatelo… La gioia, la gioia dei poveri, degli uomini molto poveri… Saranno stati certamente poveri, se neanche il vino per le nozze era bastato… Gli storici scrivono che intorno al lago di Genezaret e in tutti quei luoghi allora abitava la popolazione più povera che si possa immaginare… E doveva pur saperlo un altro grande cuore di un’altra grande creatura che si trovava là, Sua madre, che Lui non era venuto soltato per il Suo grande e terribile sacrificio, e che al Suo cuore poteva farsi strada anche la semplice, candida allegria di creature oscure, oscure e ingenue che lo avevano premurosamente invitato alle loro misere nozze. “L’ora mia non è ancora arrivata”, dice Lui con un quieto sorriso (deve averle per forza fatto un sorriso mite)… E infatti era forse venuto sulla terra per moltiplicare il vino alle nozze dei poveri? E invece ci è andato e ha fatto come lei gli aveva chiesto… Ah, sta di nuovo leggendo…».