Una delle parole chiavi della nostra epoca, una sorta di password per accedere al nuovo mercato del lavoro, è la parola “rivoluzione tecnologica”. Si tratta di un complesso di innovazioni che includono la robotica avanzata, artefice del cambiamento del nostro sistema industriale, del lavoro e delle nostre abitudini.
Soffermandoci sul lavoro, è interessante notare come questa rivoluzione sia capace di ridisegnarne totalmente i tratti e mettere in crisi, ad esempio, il genere della subordinazione fino ad alterare, il rapporto stesso tra capitale e lavoro.
Ne ho parlo con Ciro Cafiero, giuslavorista, avvocato e assistente universitario (@cafiero_cc ). Ci possono infatti aiutare i suoi recenti studi sul lavoro del futuro e gli strumenti/benefici di cui le imprese possono godere a partire dalle nuove forme di contratto individuali e collettive come conseguenza della rivoluzione tecnologica che ha toccato la loro produzione.
Avvocato Cafiero può spiegarci quali sono gli effetti della rivoluzione tecnologica sul lavoro?
I principali artefici di questo cambiamento, sono studiate nel report del McKinsey Global Institute, e sono soprattutto 10 tecnologie diverse. Le elenco: 1) internet mobile; 2) automazione, anche dei lavori basati sulla conoscenza; 3) internet delle cose; 4) tecnologia cloud; 5) robotica avanzata; 6) genomica di nuova generazione; 7) mezzi di trasposto autonomi o quasi autonomi; 8) tecnologie per l’immagazzinamento dell’energia; 9) stampa 3D; 10) materiali avanzati (nanomaterials).
In concreto però le ricadute della rivoluzione tecnologica sul rapporto di lavoro quali e quante sono?
Sono almeno quattro.
La prima è la scomparsa dei posti di lavoro meno qualificati perché integralmente occupati dalle macchine.
Secondo Forrester Research, un gigante americano della consulenza d’impresa, la tecnologia, ed in particolare la robotizzazione, distruggerà qualcosa come 22,7 milioni di posti di lavoro, ovvero il 16% del totale, molti ma nulla a confronto con i 70 milioni, ovvero il 47% della forza lavoro, stimato dall’Università di Oxford.
In questa direzione, si è espresso recentemente anche lo US Bureau of Labor Statitics secondo cui con la rivoluzione tecnologica, negli USA si acuirà il c.d. “middle skill gap” ovvero il gap lavorativo tra chi possiede competenze qualificate e chi ne è privo.
Quali saranno però le ricadute concrete sui posti di lavoro?
La nascita di posti di lavoro legati alla tecnologia rappresenta la seconda ricaduta.
Si tratta di nuovi posti legati alle digitalizzazione della produzione, allo sviluppo ICT, ai big data, alle tecnologie sociali e via dicendo.
Ad esempio, ancora una volta lo US Bureau of Labor Statitics stima che negli USA aumenterà la richiesta di computer support specialist, electrical specialists, electrical technicians, industrial engineering technicians, cardiovascular technicians, respiratory therapists, HVAC, Telecommunications installers, ed infine di environmental science technicians.
E’ possibile pensare a uno scenario per i lavori futuri?
Con la terza ricaduta è possibile rispondere. Siamo davanti a un’alterazione dei connotati dei lavori che resisteranno alla rivoluzione tecnologica o che, come visto, nasceranno in conseguenza di essa.
Anzitutto, perderanno senso i tratti caratteristici della subordinazione e dunque l’orario di lavoro perché ciascun lavoratore gestirà il proprio, il luogo di lavoro perché sarà sostituito da spazi virtuali di lavoro, il potere direttivo del datore perché ciascun lavoratore dirigerà se stesso in una logica del risultato.
In questo contesto, i lavoratori avranno la possibilità di lavorare quando, dove e come vogliono “work anytime, anywhere” o, per meglio dire, in modalità “smart working”.
Del resto, fenomeni come Uber e Airbnb mettono già in evidenza l’inadeguatezza del paradigma della subordinazione.
Può farci qualche esempio?
Rimane dubbio, ad esempio, chi si farà carico in questi casi del rischio di impresa, che è elemento cardine del rapporto di lavoro subordinato. Facciamo un esempio se Uber o Airbnb che gestiscono la piattaforma informatica attraverso cui il cliente prenota, in caso di Uber, l’auto, nel caso di Airbnb, l’alloggio per la vacanza o se, rispettivamente, i drivers, vale a dire coloro che mettono a disposizione la propria autovettura, ovvero gli host, vale a dire coloro che mettono a disposizione il proprio alloggio, per offrire il servizio.
Ed anzi, il paradosso è che, per effetto del Jobs Act (art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015), che estende la disciplina del lavoro subordinato a tutti coloro che sono “etero – organizzati” nel contesto di impresa, i drivers e gli host potrebbero apparire tali perché organizzati dalla piattaforma informatica e quindi soggiacere a questa disciplina.
Quali sono le conseguenze dell’alterazione classica tra il capitale e il lavoro?
La quarta ricaduta è un‘alterazione del rapporto tra capitale e lavoro perché diminuirà la necessità di ciascuno di offrire il proprio lavoro al capitale per garantirsi potere di acquisto.
Le ragioni sono due.
La prima è che ciascuno sarà in grado di produrre in autonomia parte delle cose di cui ha necessità per vivere, avrà quindi minore esigenza di acquistarle sul mercato e, di conseguenza, di domandare lavoro a chi detiene il capitale per garantirsi, attraverso la retribuzione, potere di acquisto.
Per avere un’idea, è sufficiente pensare alle tecnologie che, con bassi investimenti, daranno a milioni di persone la possibilità di approvvigionarsi energia eolica e solare; o, ancora, alle tecnologie, come le stampanti 3D, che daranno la possibilità di produrre tra le mura di casa quei manufatti che oggi e’ necessario acquistare sugli scaffali delle grandi catene.
Si tratta di quelli che Rifkin, uno studioso della rivoluzione tecnologica, definisce “prosumers”: a metà strada tra produttori (producers) e consumatori (consumers).
La seconda è che, grazie al commons collaborativo, o per meglio dire alla share economy, ciascuno avrà la possibilità di fruire gratuitamente di una serie innumerevole di servizi, dalla musica alla distribuzione sino alla lettura.