La separazione della politica dalla morale
Con Machiavelli inizia una «rivoluzione metodologica» che coinvolge la teoria politica, la storiografia e la filosofia: «La comprensione storica diviene base per l’azione, per un’arte della politica che trasformi consapevolmente la realtà». La riflessione di Machiavelli non crea un sistema teorico e organico come faranno Hobbes, Rousseau o altri pensatori; la sua osservazione è empirica, parte dalla realtà, la osserva, la racconta, ne deduce i princìpi, ma non impone una sua morale. Anzi, separa la politica dalla morale. Per farlo, ritorna ai testi classici — custoditi nei monasteri — e ai valori della civiltà antica che fondano l’umanesimo. La politica con il letterato fiorentino diventa scienza perché si fonda su un’antropologia naturalistica e su una specie di psicologia fenomenologica: «La prima condizione per governare l’uomo è quella di capire l’uomo», è stato scritto. Anzi Machiavelli è convinto che la giostra della vita giri con lo stesso ritmo e sia la stessa in ogni tempo, al punto che gli uomini lungo la storia camminano su vie già percorse, o su strade che possono essere riconosciute conoscendo la storia stessa. Due sono le variabili indipendenti: la fortuna — l’insieme degli eventi non prevedibili o non determinati dalla volontà — e la nozione di virtù — che consente di prendere decisioni tempestive, corregge le scelte politiche in base alla conoscenza degli uomini — come il coraggio, il realismo, la lungimiranza. Ma quella di Machiavelli non è la virtù aristotelica, è semplicemente l’adozione dei mezzi migliori per raggiungere il fine politico: gloria, onore, successo, visibilità. Insomma per Machiavelli è necessaria una fortunata astuzia che per lui è una virtù.
Con Machiavelli salta un’altra condizione dello Stato, quello della sovranità legittima. L’unica condizione per ottenerla — e in questa posizione egli esprime il massimo del realismo e del cinismo — è avere un potere che si regge sulla forza e un certo tipo di consenso. Questo serve a legittimare la forza, che è indispensabile per mantenere il consenso.
Un’istituzione dura se riesce a trovare i compromessi necessari per rimanere stabile; ma nel suo realismo Machiavelli paragona gli Stati e le istituzioni al corpo che nasce, cresce e muore attraverso tre tipi di processi: «I fenomeni degenerativi propri di ciascuna forma istituzionale (la monarchia degenera in tirannide, l’aristocrazia in oligarchia, la democrazia in anarchia); l’alternarsi delle tre forme istituzionali; la conquista ad opera degli Stati più forti». Da questa analisi si rivela che Machiavelli è convinto che sono gli Stati misti a base popolare a reggere nella storia, le repubbliche vanno in rovina se non riescono ad adeguarsi al mutamento dei tempi.
“Non ha mai detto che il fine giustifica i mezzi ma che li scusa”
Roma, 3 dic. (askanews) – Il Machiavelli teorico della politica
infida, pronta alla slealtà con un leader (principe) subdolo,
falso, oppressivo al limite della crudeltà ed anche sanguinario
se occorre, non è esistito e peraltro non ha mai detto che “il
fine giustifica i mezzi” ma che “il fine ‘scusa’ i mezzi”.
Questa sorta di rivalutazione di Nicolò Machiavelli che toglie
l’odore di zolfo al Principe, l’opera che lo ha reso immortale
nella letteratura e nella storia politica, è della rivista dei
gesuiti La Civiltà Cattolica, in un articolo a firma del padre
Francesco Occhetta.
La rivista indica alcuni equivoci e alcuni punti di
incomprensione che hanno portato ad una lettura negativa di
Machiavelli che per questo viene assunto come figura negativa,
addirittura teorizzatore di un male al servizio del potere,
nemico della chiesa e della morale. In realtà, scrive Occhetta,
sul fine e i mezzi Machiavelli non dà alcuna benedizione e nei
suoi “Discorsi” parla di “scusa”: “Si giustifica qualcosa per
renderla giusta; si scusa invece ciò che va contro una legge o un
principio. Giustificare significa rendere giusto; scusare è
ammettere un illecito. E tutto – sottolinea Occhetta – per un
fine: il dovere di servire lo Stato, che, portando all’estremo il
pensiero di Machiavelli, poteva ergersi come idolo sulla dignità
dei cittadini”.
“Con Machiavelli – spiega Occhetta -inizia una “rivoluzione
metodologica” che coinvolge la teoria politica, la storiografia e
la filosofia. “La comprensione storica diviene base per l’azione,
per un’arte della politica che trasformi consapevolmente la
realtà”. La riflessione di Machiavelli non crea un sistema
teorico e organico, come in Hobbes, Rousseau o altri pensatori;
egli parte dalla realtà, la osserva, la racconta, ne deduce i
princìpi, ma non impone una sua morale. Anzi, separa la politica
dalla morale”. Una separazione che non è il frutto di un giudizio
di valore ma il risultato di una impostazione di studio che oggi
definiremmo laica, quasi scientifica nella sua metodologia. Non è
un caso, osserva Occhetta, che nei Quaderni dal carcere “Gramsci
definisce così la struttura dell’opera: ‘Il carattere
fondamentale del Principe è quello di non essere una trattazione
sistematica, ma un libro ‘vivente’, in cui l’ideologia politica e
la scienza politica si fondano nella loro drammatica del ‘mito'”.
Per p. Occhetta Machiavelli è dunque all’origine della concezione
dello Stato moderno con il superamento della visione medievale
con la connessione della sfera religiosa e quella politica. “Il
suo pensiero contribuisce alla formazione dello Stato moderno; il
modello delle due città e il rapporto tra potere politico e
potere religioso vengono superati, e la riflessione si sposta
sulle grandi questioni politiche della modernità: l’origine e il
fondamento della sovranità, il nuovo modo di concepire lo Stato e
la Chiesa, il rapporto tra diritto naturale e diritto positivo,
la definizione di natura, i diritti e i limiti del potere
politico, la pace, la guerra, le alleanze, le relazioni tra Stati
sovrani. Con Machiavelli – afferma Occhetta – inizia una
“rivoluzione metodologica” che coinvolge la teoria politica, la
storiografia e la filosofia. “La comprensione storica diviene
base per l’azione, per un’arte della politica che trasformi
consapevolmente la realtà”.
Pur non affermando esplicitamente alcun riferimento all’oggi,
p.Occhetta sembra avere ben presente la situazione sociale e
politica dei nostri giorni quando concludendo afferma: “Anche se
può sembrare un’operazione poco corretta dal punto di vista della
critica letteraria, Il Principe, opportunamente interrogato, può
permettere di non ripetere gli errori del passato, come essere
servili verso i potenti, incentivare chi fa favori, appoggiare
coloro che cambiano spesso idee politiche, ascoltare chi fa
grandi promesse, non temporeggiare davanti alle riforme di
sistemi politici. Coniare termini opposti come “machiavellico” –
che significa spregiudicato e subdolo, falso e senza scrupoli –
non aiuta a leggere il politico fiorentino sotto questa luce”.
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