Pubblico un inedito di Nunzio Primavera
Venerdì 6 novembre è scomparso a Roma all’età di 92 l’avvocato Cesare Dall’Oglio. Figura di primo piano di militante cattolico che, dalla guerra di Liberazione e poi nelle fila della DC, quindi nella Coldiretti, ma anche con un intenso impegno al servizio della Chiesa italiana, ha tracciato un solco profondo con un intenso servizio in politica, nel sindacato e nel sociale sempre in favore degli ultimi.
Per Dall’Oglio l’ultimo periodo della sua vita è stato intensamente vissuto insieme alla moglie Donatella e alla sua numerosa famiglia nella preghiera serena e fiduciosa in Dio per la sorte del figlio gesuita padre Paolo Dall’Oglio della cui sorte nulla si sa.
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Quella dei cattolici nella Resistenza è una pagina mai a sufficienza esplorata. In effetti, le figure di militanti cristiani esaltate dalla storiografia ufficiale sono sempre quelle della cosiddetta sinistra cristiano sociale, come Giovanni Albertino Marcora ed Enrico Mattei; ma anche sacerdoti come don Primo Mazzolari e don Pietro Pappagallo. Personalità eccezionali e indiscutibili; non sono però le sole ad avere interpretato l’impegno dei cattolici per la libertà. Per riportare alla luce la strage di Porzûs compiuta dai comunisti titini e i valori della Repubblica dell’Ossola, nata per la spinta del parroco don Luigi Zoppetti, c’è voluto oltre mezzo secolo. Molto merito in proposito ha la RAI che produce e trasmette documentari e fiction televisive su vicende note soltanto a pochi.
La Resistenza non è patrimonio esclusivo di una sola parte del Paese. L’averla considerata in questi termini ha sicuramente rallentato quella riconciliazione nazionale che alla fine della Guerra in altre parti d’Europa è stata più sollecita. Il ruolo dei cattolici, e in particolare del clero, deve essere studiato e approfondito per rendere ancora più tangibilmente condiviso il valore della riconquistata libertà del popolo italiano.
Tra i cattolici impegnati, numerosi sono quelli che, sommessamente, in clandestinità, si incontrano, a Roma tra fine anni ’30 e primi anni ’40 e a Camaldoli nel 1943, non soltanto per pregare, ma per discutere e gettare le basi del futuro d’Italia, come avviene in casa di Giuseppe Spataro, mentre la gran parte dei leader comunisti in Unione Sovietica o di quelli socialisti, rifugiati o in esilio in altri Stati, attendono la fine del Fascismo.
Non pochi sono i cattolici che combattono nelle formazioni bianche, ma anche insieme agli altri partigiani senza distinzione di fede politica e religiosa. Proprio Enrico Mattei, al primo congresso della DC stima in 65 mila i cattolici che partecipano alla Resistenza in 180 brigate partigiane.
In effetti, parte della responsabilità di questo silenzio, se così si può definire, è da attribuire ai cattolici stessi che, impegnati nella ricostruzione, in quegli anni cercano il concorso di tutte le parti smorzando le divisioni.
Il ventenne Cesare Dall’Oglio, classe 1923, è tra quei giovani cattolici proiettati verso un futuro di libertà che non può tardare. Alla caduta del Fascismo, insieme al fratello Francesco, sceglie senza indugio di lasciare Roma e di prendere la strada delle montagne d’Abruzzo dove dà vita a una formazione partigiana. Vengono catturati dai tedeschi nella zona di Carsoli, incarcerati e, dopo un processo farsa, condannati a morte “in nome del popolo germanico” con sentenza del tribunale nazista dell’Aquila.
Imprigionato nel carcere aquilano tra maggio e giugno del 1944, Cesare Dall’Oglio è pronto ad affrontare l’esecuzione della sentenza. Non perde per un solo istante la sua fede in Dio e nella bontà dell’umanità che riesce a scorgere anche nei nemici che lo stanno per mandare a morte. Pur essendo forti in lui l’amore per la libertà e per la vita, non si lascia pervadere dall’odio. È convinto che è sempre una persona, con cuore e anima, il nemico che ha di fronte e che il bene che è al fondo di tutte gli esseri umani vince sempre. È consapevole di avere messo in gioco la sua vita, con tutti i rischi connessi, nel momento stesso in cui è entrato nella Resistenza.
Il racconto di quello che avviene nella prigione dell’Aquila lo fa Dall’Oglio stesso a un anno dai fatti, in due articoli pubblicati il 21 maggio e il 4 giugno 1945 su La Punta, organo della gioventù democristiana, supplemento de Il Popolo. Ne scrive con distacco e semplicità; senza astio verso gli ex nemici nazisti e fascisti repubblichini, ma con toni che emozionano il lettore.
L’arcivescovo de L’Aquila mons. Carlo Confalonieri, nel volume Decennio Aquilano 1941-1950 (Edizioni Paoline), racconta di come i due fratelli Dall’Oglio, a poche ore dalla fucilazione, vengano prodigiosamente liberati. Confalonieri (cardinale nel 1958 e dal ‘77 all’86 Decano del Sacro Collegio) con profonda convinzione ne attribuisce il merito alle preghiere rivolte al Sacro Cuore di Gesù della madre dei due giovani. “Quale virtù abbia saputo sprigionare in quel supremo frangente il cuore di una madre lo rivelerà solo il libro della vita: ottenne in poche ore quelle che per settimane intere era stato negato, pertinacemente negato. Sperando contro speranza, vinse. I figlioli ebbero da lei una seconda vita”.
Questa drammatica esperienza di speranza e di fede segna profondamente Cesare Dall’Oglio che sceglie quale scopo per realizzare il suo essere cristiano, quasi per restituire il dono di questa seconda vita, di dedicarsi agli altri attraverso il servizio nella politica e nel sindacato.
È una scelta naturale, quindi, quella di impegnarsi prima nella Democrazia Cristiana e quindi nella Coldiretti e in questi due ambiti ricopre ruoli di vertice. Una logica conseguenza del suo essere cristiano militante, un carisma che permea il suo impegno fin dall’immediato Dopoguerra.
Matura la sua formazione insieme a quei giovani cattolici democratici, come lui poco più che ventenni, che costituiscono la nuova classe dirigente della Nazione, slegata da ingombranti compromissioni con il fascismo. Parliamo di Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Giulio Andreotti. A quest’ultimo succede nel 1947 quale delegato nazionale dei gruppi giovanili della DC, incarico che lo porta nel consiglio nazionale e nella direzione del Partito. Viene eletto nel 1947 al congresso di Sorrento; l’altro candidato, in rappresentanza della sinistra DC, è Gianni Baget Bozzo, allievo del cardinale di Genova Giuseppe Siri. Dall’Oglio costituisce un esecutivo giovanile “al di sopra delle divisioni politiche e all’insegna dell’unità di impegno al servizio”, come ricorda Bartolo Ciccardini in un articolo su La Discussione del 9 maggio 2009. Ne fanno parte, fra gli altri, oltre allo stesso Ciccardini, personaggi come Tommaso Morlino, Nicola Signorello e Franco Nobili.
Dall’Oglio è un cristiano impegnato in politica in una collocazione che si può definire di centro, nel senso di equidistanza rispetto alle diverse parti; mentre nella sua attività centrali sono i bisogni della gente. La sua centralità in politica, quindi, non deve considerarsi alternativa rispetto all’adesione alle correnti di destra e di sinistra nella DC. Anche il suo ruolo di vicesegretario politico tra il 1952 e il 1953, al fianco di Alcide De Gasperi, fino al congresso di Napoli, è da interpretare in questo senso. Non avrà, infatti, tentennamento alcuno a dimettersi nel momento del distacco dalla politica del leader trentino, mentre prevalgono logiche di disgregazione all’interno del partito.
Dall’Oglio è vicino al prof. Antonio Segni che da ministro dell’Agricoltura lo vuole a capo della sua segreteria. Un’esperienza che indirizza la sua attività futura verso l’agricoltura. In questa veste, infatti, stringe un forte legame con Paolo Bonomi e inizia a interessarsi dei problemi delle campagne italiane.
Nel 1951 entra a fare parte della Commissione centrale esperti della riforma fondiaria e, successivamente collabora in maniera determinante alla stesura dei due Piani Verdi che rappresentano la prima fondamentale legislazione per l’ammodernamento dell’agricoltura italiana.
Dal 1954 al 1963 è presidente della Commissione centrale dei Contributi agricoli unificati. Dal 1955 è componente del consiglio di amministrazione della Federmutue coltivatori diretti,succedendo nel 1963 a Luigi Anchisi quale presidente, fino allo scioglimento dell’ente con il varo del Servizio sanitario nazionale.
Negli anni ’60 raggiunge in Coldiretti posizioni di grande responsabilità. Dal 1964 per oltre venticinque anni è segretario generale della Coldiretti ed è costantemente al fianco dei presidenti Paolo Bonomi e Arcangelo Lobianco alla guida della Confederazione, ispirando le principali proposte di legge e le scelte politico sindacali sempre con una grande attenzione alla crescita economica e sociale delle imprese coltivatrici.
Proprio per dare una svolta rigeneratrice alla Coldiretti, all’inizio degli anni ’70, Cesare Dall’Oglio prende coscienza della necessità di un nuovo corso. È fortemente convinto che si debba dare voce alle attese di quanti dal territorio e dai Movimenti giovanile e femminile chiedono una revisione del modello organizzativo con una maggiore responsabilità delle federazioni regionali. Un cambiamento non rinviabile, per dare concretezza alla necessità di imprimere una spinta nuova all’organizzazione dopo trent’anni di attività e di rivitalizzare i vertici della confederazione senza che vengano dispersi il grande patrimonio di valori, di cultura sindacale e di conquiste sociali ed economiche che sono l’eredità più grande di Paolo Bonomi.
Cesare Dall’Oglio elabora i documenti per il dibattito verso la prima Conferenza Organizzativa di Montecatini, ed è uno dei massimi protagonisti di questo evento che segna una svolta fondamentale per la Coldiretti. Si deve a lui la scelta di affidare a Brunetto Bucciarelli Ducci, figura istituzionale super partes e quindi garanzia di autorevolezza e di equilibrio, la relazione di base e la guida dei lavori della Conferenza di Montecatini.
Dall’Oglio, profondo conoscitore della Dottrina sociale della Chiesa, coniuga costantemente il suo ruolo di sindacalista con la presenza attiva ai principali momenti della vita ecclesiale. Segue con attenzione i lavori del Concilio ed esprime il suo ruolo di laico partecipando ai più importanti eventi che conseguono. È tra i protagonisti del convegno ecclesiale della CEI Evangelizzazione e promozione umana (30 ottobre/4 novembre 1976), quale componente del comitato di presidenza e membro del comitato promotore designato dalla presidenza della CEI. La sua partecipazione alla preparazione e alla conduzione di questo evento cruciale nella Chiesa italiana verso il terzo millennio è nel senso della profonda coscienza del nuovo ruolo che attende i laici nella Chiesa e i cattolici nella società. Comprende la necessità che venga tracciata una nuova rotta alla luce di quello che Paolo VI nell’omelia della messa di inizio dei lavori del convegno definisce “un segno maiuscolo del nostro tempo. Il risveglio della vocazione apostolica, missionaria e operativa in seno alla Chiesa”.
Anche in questa assise Dall’Oglio porta le istanze delle persone che vivono e lavorano nelle campagne quale presidente della Commissione di studio Evangelizzazione e promozione umana nel contesto rurale. Nelle sue conclusioni dei lavori della Commissione, Dall’Oglio traccia un quadro delle condizioni delle campagne italiane con, da una parte, il depauperamento umano dovuto all’esodo, all’invecchiamento e all’isolamento dei pochi giovani rimasti e, dall’altra, i problemi irrisolti tra proprietà, impresa e manodopera con particolare riguardo ai rapporti colonici. Si pone, inoltre, i problemi della eccessiva burocrazia e del clientelismo che affliggono gli agricoltori e le cooperative agricole e la necessità di “superare la intermediazione parassitaria”. Profetico un passaggio delle sue conclusioni in cui al fine di superare i problemi economici e sociali che assillano chi vive e lavora in agricoltura, soprattutto i più poveri del mondo rurale, auspica “un dialogo costruttivo tra città e campagna, che recuperi nella giustizia un’autentica solidarietà”.
Cesare Dall’Oglio e il suo tratto umano mite, modesto, gentile, mai aggressivo: un carattere distintivo di una personalità che assai contrasta con la spregiudicatezza, soprattutto nei comportamenti personali e privati, dei politici delle ultime stagioni (anche di molti di quelli che si dicono cristiani) che spesso dimenticano i reali interessi della collettività.
Il suo esempio è sulla scia di quei cattolici che in politica non sono mai stati dei Machiavelli. Dall’Oglio è uno di quegli uomini che non hanno avuto una morale propria relativa all’interesse in gioco e pronta ad adeguarsi alle circostanze, bensì la coscienza della concretezza silenziosa. Quel modo di fare che magari viene preso d’assalto dagli avventurieri di ogni risma, sicuri di accomodare ogni cosa – anche la coscienza – per il proprio interesse personale.
L’esistenza di Cesare Dall’Oglio si specchia nella sua famiglia pervasa di una fede vissuta con semplice intensità. Si identifica nella storia di suo figlio Paolo, gesuita missionario in Siria, del quale non si hanno notizie da molti mesi, perseguitato e prigioniero per il suo impegno nella costruzione di ponti di dialogo e di fratellanza con l’Islam. Padre e figlio accomunati dall’impegno in politica in quello spirito che Paolo VI nella Lettera Apostolica Octagesima adveniens definisce “forma più alta ed esigente di carità”.
Politica e dialogo con gli altri: servizio, lezione d’amore, ancora di più, dovere per il cristiano secondo la lezione di Tommaso Moro che, per essere compiuto, non ricerca trionfi personali, ma la “maggior gloria di Dio”. È questa la semplice grande lezione di Cesare Dall’Oglio.
Vedi la seconda edizione di Nunzio Melodia e il sottoscritto del volume su Bonomi.