Immigrazione e asilo dopo Parigi

Riporto qui un pezzo di Vittorio Sammarco scritto per Vita.it che sintetizza la tavola rotonda che abbiamo tenuto a Civiltà Cattolica sabato 14 novembre.

Di fronte alla tragedia di Parigi i gesuiti provano a dare risposte diverse da quelle dure proposte da alcuni in queste ore. Frutto di una lettura coraggiosa, umana e ragionevole insieme, sulla scia delle parole di papa Francesco. Sabato 14, nelle ore calde della commozione, aprendo un seminario organizzato da tempo e dal titolo “Immigrazione e asilo: le sfide del Mediterraneo”, (Qui va lo streaming dell’incontro presso la sede della Civiltà Cattolica, Francesco Occhetta, scrittore della storica rivista, afferma con nettezza: “davanti ai morti di Parigi e di quelli che li hanno preceduti negli ultimi attentati, in questo clima di paura noi oggi potremmo rischiare di associare terrorismo con immigrazione; sarebbe la trappola più grande a livello culturale e se cascassimo in questa trappola faremmo il gioco del terrorismo.”. Ci sono diversi problemi, ammette Occhetta, (prevenzione, globalizzazione, intelligenze e sicurezza, Siria, responsabilità dell’Occidente), che però richiedono tempi e contesti diversi. Oggi abbiamo chiesto uno sforzo culturale più ampio: parlare di immigrazione e asilo, “una dimensione più ampia che tocca la storia – dice il gesuita – processi immigratori inarrestabili, che nella storia hanno già vissuto periodi molto simili. Quindi parlare di immigrazione significa affondare l’analisi oltre la cronaca. Perché quando i popoli si muovono cambiano la storia e non solamente il quotidiano”.

Immigrazione

A introdurre con alcuni numeri di contesto è Sandra Sarti – Vice capogabinetto del ministero dell’Interno, coordinatore dell’ufficio relazioni e Affari internazionali. “Il terrorismo, dice, ha infangato il tema della migrazione. Il fenomeno migrazione include gente che cerca un rifugio, che scappa dalla paura di situazioni insostenibili. Il terrorismo cerca solo la morte”. Sono le sue prime parole di apertura “Nel Mediterraneo si sta riscrivendo la storia dell’Europa. Dal 2013 crescono gli sbarchi. Nel novembre del 2015 sono stati accolti 142.550 immigrati, non sono diminuiti, ma si sono spostate le rotte: il Mediterraneo oggi lascia passare il 30% delle migrazioni irregolari e non più quel 70-80% come era prima di quest’estate.”. E, con un accento di fierezza sull’operato delle istituzioni del nostro Paese, sottolinea come sia “importante dire quanto lo Stato fa per terra e per mare, dai militari, alla guardia costiera, alle Ong che continuano a cooperare per salvare vite umane. Anche la marina mercantile, per fini umanitari raccoglie le persone e devia i propri percorsi con svantaggi economici”. In 14 anni, dal 2000 al 2014, sono stati oltre 508.000 i migranti sbarcati in modo irregolare in Italia, quindi un impatto diluito nel tempo, di fronte agli ultimi enormi arrivi, obiettivamente inferiore a quello che è avvenuto questa estate”.“Con Mare Nostrum – di cui tutta l’Europa ci riconosce il valore e i risultati – in 563 interventi si sono salvati 101000 migranti soccorsi, di cui 12000 minori non accompagnati e 728 scafisti arrestati.” Poi c’è stata Triton e l’evoluzione con gli accordi europei di cui la Sarti ha dato una veloce ricostruzione. Insomma, dati rilevanti che danno dell’Italia un’immagine positiva ed efficiente, mentre l’Europa sembrava spesso non voler capire (o capire in ritardo) e che si ostina a pensare che il problema (vedi trattato di Dublino) sia solo dei Paesi di frontiera e che a loro spetta la ricerca di soluzioni, con il parziale aiuto economico o della ricollocazione di quote di immigrati, favorita da alcuni Paesi Ue.

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“Ma se è vero che tanti passi sono stati fatti, ora – per padre Camillo Ripamonti presidente del Centro Astalli – bisogna superare questa visione in difesa. Dobbiamo cambiare la prospettiva e passare a quella che considera il mondo come una Casa comune.”. “Chi vuole percorrere la via dello scontro di civiltà – afferma con forza – sia sconfessato!” “Dopo quello che abbiamo visto ieri sera può essere un affermazione irritante. Verrebbe da rispondere colpo su colpo. Ma questa è una via perdente”, ribadisce. “La vera soluzione è l’accoglienza accompagnata dall’integrazione: così si sconfigge la violenza dell’uomo contro l’uomo. Occorre avere uno sguardo diverso. L’Italia sta compiendo un percorso difficoltoso, ma è l’unica via lungimirante che ci permetterà di far convivere persone di diverse culture e religioni.” E conclude: “Siamo stati tra i primi a soccorrere in mare, ma non basta più. È urgente creare delle vie sicure di accesso all’Europa. Tanto i numeri ci confermano che le persone che scappano da situazioni di guerre e di persecuzioni, in Europa arrivano lo stesso, rischiando e morendo. Allora non possiamo più permetterci che si affidino ai trafficanti. Ci sono già delle vie concrete per poter fare questo (rivedere le norme per i visti umanitari, o sul ricongiungimento familiare …), occorre non rimandare più. La risposta dell’Europa è stata finora scomposta. Ci si è chiusi attraverso la logica del consenso popolare. Non è la via che porterà l’Europa a un futuro fiorente. Le migrazioni fanno parte di tutta la storia dei popoli e di tutte le culture. L’unica cosa su cui potremmo già intervenire, e invece su cui siamo in ritardo, è la soluzione dei conflitti che generano queste migrazioni, ma purtroppo anche su questo l’Europa nella sua politica internazionale, ha avuto un atteggiamento scomposto, e non ha saputo affrontare con le dovute misure le guerre che sono alle nostre porte, pensiamo alla Siria”. Infine: “dobbiamo valutare fino in fondo quali siano i Paesi considerati “sicuri” e dai quali si scappa, per considerare le persecuzioni, anche personali, e garantire il riconoscimento delle procedure di Asilo: “Sarebbe molto grave creare dei rifugiati di serie A e dei rifugiati di serie B”.

Si dice d’accordo con il profilo dell’impegno del governo descritto dalla Sarti su questo fronte, ma con due perplessità non secondarie. Ad esprimerle è – in chiusura – Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia del primo governo Prodi e presidente della Corte costituzionale, e soprattutto rappresentante italiano della Commissione europea per i diritti umani: “Oltre ai ‘miracoli’ dei salvataggi in mare e la buona volontà e l’impegno c’è anche una buona dose di inefficienza esecutiva e penso alla lunghezza dei tempi di valutazione delle domande di asilo. E questo non dipende dalla politica, ma dall’esecuzione. E poi, e questo mi indigna particolarmente, c’è anche la corruzione che è arrivata ad inquinare l’aiuto umanitario alle persone più deboli”.

Il giurista esprime poi anche una più forte preoccupazione: che il cambio di prospettiva invocato da Ripamonti vada in senso opposto, cioè un rafforzamento delle misure di contrasto all’immigrazione, sull’onda delle paure suscitate dagli attentati di Parigi. “Ho il timore che si sovrapponga la paura dell’immigrazione con quella del terrorismo, e le prime parole pronunciate ieri dopo gli attentati (dichiarazione di guerra, chiusura delle frontiere) sembrano andare in quella direzione. Ma non è quella la soluzione”, avverte il costituzionalista. “Gli attentatori sono francesi addestrati nei paesi stranieri. A chi dichiariamo guerra? All’Isis? Come l’11 settembre, quando abbiamo bombardato il deserto? Ormai siamo di fronte ad un terrorismo ‘glocale’”. E precisa: “Sì, penso che si debba lavorare sull’intelligence, su più strette misure di sicurezza, magari anche con limitazione, in un certa misura, di alcuni diritti, penso alla libertà di espressione sul web o i controlli in aeroporto. Ma bisogna non cadere nella trappola di alimentare le fabbriche della paura e arrivare allo scontro di civiltà che è proprio quello che vogliono i terroristi”.

Uno degli assi fondamentali, per Flick, è un discorso di verità: capire chi sono e da dove vengono i migranti (riconsiderati nel quadro della “cultura dello scarto” di cui parla spesso papa Francesco) “e dare loro una mano a capire dove andranno. Sennò continueremo a coltivare l’illusione in chi parte di trovare qui un paradiso e in chi accoglie la paura di mettersi in casa criminali.”

Il primo passo – per Flick – è avere la consapevolezza che la legislazione è abbastanza ambigua. Perché abbiamo tre categorie d’immigrati, i rifugiati, i richiedenti asilo e il ‘calderone’ dei migranti economici. Questo è ancora più complicato in un quadro europeo. Bisogna chiarire.

Infine: “Dobbiamo prendere atto che la sequenza salvare la vita/accogliere/ integrare non si può spostare.” Dobbiamo superare una serie di luoghi comuni. Esempio: le migrazioni andrebbero viste non più come fattore di crisi, ma persino come opportunità di crescita per la nostra Europa in profonda crisi demografica.

Dovremmo – conclude -, con tutta la calma e la pazienza possibile, cercare di coltivare la cultura non dell’appartenenza, ma della partecipazione, che ci dovrebbe portare ad affrontare in modo diverso il tema della Cittadinanza. Abbiamo una Costituzione affascinante, che dovremmo rileggere prima di riscriverla. All’art. 2 “ci ricorda che ci sono diritti inviolabili che vanno a braccetto con i doveri inderogabili di solidarietà. Tutti, e non solo i cittadini, hanno pari dignità sociale, perché dopo la guerra, la Shoah e tutto quello che l’uomo ha saputo ‘combinare’ si è messo al centro la persona e non più solo il cittadino”.

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