Dall’Expo 2015 non è emerso l’imperativo non sprecare di cibo. Al contrario la cultura italiana dovrebbe sentirselo dire per risvegliarsi da un sogno che cesserà presto. L’Università di Bologna in uno studio sullo spreco di cibo in Italia presenta cifre che impongono un serio esame di coscienza sociale: ogni famiglia italiana butta ogni anno nell’immondizia cibo per 515 euro di spesa.
L’industria alimentare elimina 2.161.312 tonnellate di prodotti mentre la distribuzione al dettaglio ne getta 244.252. Le organizzazioni di produttori ritirano ogni anno 75.000 tonnellate di cibo non scaduto e di questa quantità solo il 4,4% viene usato per chi si trova in stato di bisogno. In agricoltura c’è una dispersione di 17.700.586 tonnellate di cibo, l’equivalente del peso che consuma il Paese in un anno.
Dal 1974 ad oggi lo spreco alimentare nel mondo è aumentato del 50%, negli Stati Uniti viene gettato il 40% del cibo prodotto. Prima che il cibo giunga sulle tavole degli italiani se ne perde una quantità che potrebbe soddisfare i fabbisogni alimentari di circa 44 milioni di abitanti. In termini economici è come se ogni anno buttassimo via il 3% del nostro Pil. Lo spreco è così alto che l’Unione Europea ha proposto di ridurlo almeno del 50% entro il 2025.
Davanti a questi dati ci chiediamo se la società italiana sia cosciente delle conseguenze, non solamente di quelle economiche «ma di quelle che coinvolgono il nostro cuore, il senso più radicato del nostro esistere. Una società che disprezza i frutti della terra, che ha rotto il progetto della cultura, che ha cancellato la gratitudine dai suoi sentimenti, che società può essere?».
Altri studi dicono che nell’intera filiera agro-alimentare italiana, dal produttore all’acquirente finale, si sprecano 6 milioni di tonnellate di cibo all’anno, pari al 16 per cento dei consumi. È una cifra troppo grande che si concentra nell’ultimo anello della catena: la grande distribuzione e, in misura minore, nei piccoli esercizi commerciali. Lo spreco di cibo, oltre a rappresentare un costo per le aziende chiamate a smaltirlo, è anche un elemento di inquinamento ambientale. Infatti Il 32 per cento dei prodotti alimentari sprecati vengono poi smaltiti nelle discariche.
Non sappiamo più fare la spesa e compriamo troppo rispetto a ciò che ci serve, non sappiamo conservare o riutilizzare gli avanzi. Le carote per esempio vengono pagate al produttore 9 centesimi di euro al chilo, mentre in genere si pagano un euro.
La Coldiretti ritiene che per poter ritornare a un «cibo sano» che può fare risparmiare fino al 50%, sia utile seguire i seguenti consigli:
1) Preparare in casa pane, pasta, yogurt, conserve e confetture: oltre ad essere salutare aiuta a risparmiare garantendosi la qualità degli ingredienti utilizzati.
2) Recuperare gli avanzi ― polpette, frittate, pizze farcite, ratatouille e macedonia ― è un’ottima soluzione per non gettare nella spazzatura gli avanzi.
3) Coltivare un piccolo orto come viene già fatto da quasi quattro italiani su dieci (37%) che dedicano parte del tempo alla cura dell’orto, per passione, o anche solo per risparmiare.
4) Concedersi una pausa pranzo adeguata.
5) Scegliere meglio il proprio punto vendita e preferire gli acquisti diretti, verificando le etichette. Se poi si vuole avere la certezza di acquistare prodotti nazionali scegliere prodotti Dop.
6) Cercare i prodotti locali e di stagione per ridurre i costi del trasporto.
7) Preferire prodotti sfusi. Le confezioni incidono fino al 30 % sul prezzo industriale di vendita degli alimenti e pesano più del prodotto contenuto.
8) Riscoprire le ricette della nonna, dai bolliti agli spezzatini, che utilizzano tagli della carne meno conosciuti che possono essere acquistati a prezzi convenienti senza rinunciare alla qualità.
9) Non sprecare.
10) Acquistare in gruppo: sono aumentati del 30% i gruppi di acquisto formati da condomini, parenti o amici che fanno la spesa insieme per ottenere condizioni vantaggiose e per garantirsi la qualità degli acquisti.
La soluzione è ritornare alla cucina locale per garantire salubrità e freschezza del prodotto. Anche il vino è ritornano negli ultimi anni, specialmente tra i giovani ad essere elemento di convivialità e di comunicazione interpersonale. Nello scambiarsi informazioni sul bicchiere di vino che si sta bevendo, i commensali parlano di gusti vicini e lontani, di territorio e territori, di miracolo della trasformazione della materia prima e del lavoro dell’uomo.
La salute personale vuol dire meno costi per la società. In tempi di crisi attraverso il cibo si riscopre un modo antico di rapportarci con la natura e con noi stessi, per riavvicinarci al mondo, alle relazioni con gli altri, per tornare a comprendere che le cose hanno un valore al di là del prezzo e che non tutto si può comprare vendere o sprecare.
Anche in relazione al cibo, è dunque importante avere come criterio ultimo coloro che non ne hanno per educare aziende e società a ridistribuirlo meglio.
Le cifre parlano chiaro e per costruire buone politiche questo è un tema da monitorare su cui responsabilizzare tutti.
Per approfondire l’argomento:
IL CIBO COME CULTURA E RELAZIONE
Nota a margine: Sono stati studiati anche 600 ipermercati italiani: in ogni stabilimento si gettano via 250 chili di cibo al giorno «solo per motivi estetici». Una mole di alimenti che potrebbe sfamare ogni anno 636.000 persone per un valore di oltre 928 milioni. Per gestire come rifiuti la carne inutilizzata vengono sprecati 105 milioni di metri cubi di acqua e 8.000 ettari, con emissioni di anidride carbonica per 9,5 milioni di tonnellate.