L’oblio della libertà religiosa

I fatti di Parigi segnano un prima e un dopo per la libertà religiosa. L’equivoco è il seguente: la libertà di espressione è al di sopra di ogni altra libertà, a partire dalla libertà religiosa. La cultura italiana, ma anche americana ed altre dicono di no a questa “trappola”.

Per approfondire il tema rimando ad un mio studio su La Civiltà Cattolica. Qui tralascio il lungo elenco che riporto nell’articolo dei cristiani uccisi in questi ultimi mesi. Sono troppi e troppo dolorosi da riportare.

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Una laicità matura, rispettosa di tutte le fedi

“Su quali categorie culturali occidentali è possibile dialogare con la cultura islamica, per contrastare il terrorismo islamista? Quale deve essere il rapporto tra lo Stato e le confessioni religiose? Il fatto che circa 3.000 europei si siano arruolati nell’Isis è sintomo di un malessere dell’Occidente di più vasta portata? Il principio di laicità può aiutare a costruire sentieri di integrazione?

La laicità culturale italiana, che è «un modo» di vivere lo spazio pubblico, si fonda, per i costituenti, sul principio di libertà religiosa, inscritto nel dettato degli articoli 7 e 8 della Costituzione. È ciò che aveva precisato Aldo Moro all’inizio del 1947, durante i lavori dell’Assemblea costituente: «Non lo Stato teologo, dunque, ma lo Stato libero e democratico, lo Stato cioè che accoglie tutte le esigenze sociali e le soddisfa, senza sostituire arbitrariamente il proprio dogma laicista alla diffusa coscienza religiosa del popolo italiano» .
È grazie a questa scelta culturale che nella Costituzione italiana il principio di laicità non è formulato, ma lo si deduce in base ad altri princìpi, come quelli di uguaglianza, libertà religiosa, giustizia ecc. Così, se la laicità giuridica è da intendere come la netta separazione dello Stato da ogni confessione religiosa, la sua ispirazione laica, invece, non può essere estranea né alla coscienza religiosa dei propri cittadini, né al patrimonio culturale e spirituale legato ad essa.

Nella tradizione della democrazia italiana, «laicità» non significa assenza di simboli, ma capacità di accoglierli e sostenerli. La sentenza della Corte costituzionale n. 203/1989, che riconosce esplicitamente il valore delle esperienze religiose come elementi vitali della democrazia, precisa un aspetto che definisce la laicità italiana: «Alla condizione che [le religioni tra loro] accettino il pluralismo».

La laicità, dunque, in quanto principio supremo, opera come medium, «attraverso il quale il mondo dei valori entra in quello giuridico e il mondo giuridico si apre ai valori»; la sua essenza materiale serve a nutrire e a ispirare il diritto.

È il pluralismo confessionale e culturale delle Chiese e delle religioni che favorisce un clima di dialogo fra credenti, e fra credenti e non credenti. Nello spazio pubblico devono trovare casa tutte le varie credenze; altrimenti, se queste vengono relegate nello spazio privato, sarà la religione civile a prevalere con il suo credo laicista e con i suoi princìpi imposti dallo Stato. Rimane un esempio indelebile l’abbraccio del Papa al dottor Omar Abboud, musulmano, e al rabbino Abraham Skorka.

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Cosa chiedere alla religione islamica

Il dialogo con i cittadini musulmani deve nascere da alcune precise domande — lucidamente ordinate da Giacomo Costa — che toccano la dimensione teologica e antropologica, ma anche giuridica ed etica nel rispetto del Corano:
«Come interpretate il pluralismo culturale e religioso?
Come comprendete la laicità dello Stato e la separazione tra religione e politica?
Come conciliate la vostra appartenenza a una comunità religiosa e, nello stesso tempo, a una comunità civile in cui nessuna religione può esercitare un predominio?
Quali sono i diritti che ritenete vi siano negati o concessi solo in maniera formale?
E quali doveri sentite di dover assumere o faticate ad assumere?
Quale apporto potete dare, a partire dalla vostra fede, alla costruzione della pace, a livello locale (nei Paesi a maggioranza musulmana e non) e a livello globale?
Quali sono le critiche più forti che vi sentite di muovere?
Come potete valorizzare l’apporto di altre religioni e credenze, della cultura occidentale? Come capite i diritti umani, e in particolar modo come capite la libertà religiosa, di coscienza, di parola?» G. Costa, «Oltre Charlie», in Aggiornamenti Sociali 66 (2015) 101-108.

Per una laicità culturalmente matura è importante che le religioni si incontrino, si ascoltino e si parlino, per evitare che una loro possibile chiusura fomenti il fondamentalismo o consolidi identità nazionalistiche ed egoistiche. La Scrittura, in particolare l’inizio del Vangelo di Marco, insegna che il primo gesto che il Signore compie è liberare l’uomo dallo spirito del male, che conosce Dio e grida: «Sei venuto a rovinarci» (Mc 1,24). In altre parole, la Scrittura mette in guardia da forme diaboliche di conoscenza (religiosa) di Dio, che però non lo servono e non vivono in comunione con lui e i fratelli.

Libertà di espressione si fonda sulla libertà religione 

Mongolian journalists holding cards pose next to candles which were placed to form the phrase "I am Charlie" as they pay tribute to the victims of a shooting by gunmen at the offices of French weekly newspaper Charlie Hebdo in Paris, during a candlelight vigil at Genghis Square, formerly Sukhbaatar Square, in Ulan Bator January 9, 2015. Picture taken January 9, 2015. REUTERS/B. Rentsendorj (MONGOLIA - Tags: CIVIL UNREST CRIME LAW MEDIA TPX IMAGES OF THE DAY) - RTR4KVEF

Io sono Charlie non basta… anzi!

Per quale motivo l’attentato terroristico del 7 gennaio 2015 a Parigi ai giornalisti della rivista Charlie Hebdo è destinato a segnare un prima e un dopo, per il giornalismo occidentale, riguardo al diritto di espressione e alla libertà di stampa? Esso mette in luce una scelta culturale: per l’Occidente, la libertà di espressione si fonda solamente sulla libertà, o si definisce anche in relazione ai princìpi di uguaglianza e di fraternità? È qui la radice della crisi. Il sistema dei media è chiamato a coniugare il principio di libertà con quello di responsabilità. È la responsabilità personale e sociale — che non si impone con una legge, ma si ascolta come fosse un appello interiore — a formare un servizio pubblico che favorisca l’integrazione culturale, permetta alle religioni di dialogare e cerchi un equilibrio sulle autolimitazioni della satira per i temi etnici e religiosi.

Anche altri attentati — ha fatto notare Claudio Magris sul Corriere della Sera —, come quello di Tolosa del 2012 in cui sono stati uccisi tre bambini ebrei e un professore, o come quelli in Nigeria che hanno causato migliaia di vittime, uccise quasi in contemporanea ai giornalisti francesi, devono suscitare lo stesso sdegno. Altrimenti de-contestualizzeremmo il diritto di espressione, che diventerebbe «un attentato a una libertà e a un diritto più grandi, alla libertà e al diritto di vivere, alla vita delle persone».

Ma c’è di più. Il diritto inviolabile di espressione, riconosciuto dalla Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948 e dalle principali Costituzioni democratiche, va definito insieme al diritto di libertà religiosa. È quello che il Papa ha sottolineato durante il viaggio nelle Filippine, quando ha ribadito — utilizzando l’immagine del pugno come reazione all’offesa della dignità di una persona a cui si vuole bene, come nel caso della propria madre — che la libertà di espressione non è mai assoluta.

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C’è poi un terzo principio, che ricordava spesso il card. Martini, quando dialogava con l’islam: il principio di reciprocità, che permette ai cristiani di professare la propria fede in Paesi a maggioranza islamica. Le religioni e la politica, ovunque e a tutti i livelli, devono infatti lavorare insieme per il rispetto della credenza dell’altro, per far crescere il livello di umanità e di convivenza.

In altri termini, la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella dell’altro.

È interessante osservare che negli Stati Uniti e in Inghilterra i giornali non hanno pubblicato quelle vignette che avrebbero potuto ledere il sentimento religioso dei lettori. È per questo che è utile distinguere le cause dalle conseguenze: «Alcune vignette di “Charlie Hebdo”, spiritose o scurrili, hanno indubbiamente offeso legittime fedi e sentimenti. Non per questo i loro autori meritavano la morte, perché un’ingiuria viene punita con un’ammenda e non con la ghigliottina»[6].

Rimane un’ultima questione: in che modo andrebbe definita la libertà (di espressione), tenendo conto della fraternità e dell’uguaglianza? Per quale motivo gli esponenti di una cultura, che si vuole inclusiva per tutti, si rivelano come inclusivi soltanto per coloro che la pensano come loro? L’identità religiosa, i simboli e i luoghi religiosi sono una ricchezza per uno Stato democratico?

È quindi necessario chiarire il termine «libertà di espressione», per non svuotare la parola dal suo significato; è utile precisare libertà «di» cosa e «da» cosa, e se è «libertà da» (svincolata dal diritto) o «libertà per» (l’altro).

È in questa prospettiva che ci si divide non tra uomini religiosi e non, o tra credenti e non credenti, ma tra esseri morali e non, tra coloro che si fanno carico della dimensione della fraternità e coloro che la rifiutano. Il futuro è solo nella convivenza”.

Leggi lo studio completo.

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