#CharlieHebdo un sacrificio che fa sanguinare a morte le democrazie

Forse è già stato scritto tutto. Ma lascia sgomenti e ha il sapore della barbarie l’assalto al settimanale satirico Charlie Hebdo.
E’ troppo facile entrare in una redazione armata solo di penne per sentirsi gridare come ultime parole. “Allah u Akbar”. Poi la raffica dei mitra. In terra 12 morti e altri 8 rimangono feriti. Fra le vittime i famosi vignettisti Wolinski e Cabu.

La Francia proclama il lutto nazionale in Francia. Il Presidente Hollande non ha esitato ad affermare: “attacco alla libertà”. La leader dell’opposizione Le Pen ha ribattuto: “è strage dell’integralismo”. Addirittura molti media francesi hanno subito offerto alcuni loro giornalisti per salvare ‘Charlie’.

Ma questo attentato è destinato ad aprire una ferita che sanguinerà per molto tempo nel cuore dell’Europa, nel Paese della libertà, della fraternità e dell’uguaglianza.

Parigi è scesa in piazza con un motto “no afraid”. No alla paura che offusca la democrazia, no alla paura che ci fa diventare istintivamente violenti, no alla paura di arrenderci ad un nemico che ha più le sembianze di un fantasma…

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Già la libertà. Scrive Wired: “No, non siamo tutti Charlie, come scrive perfettamente Cass Mudde su OpenDemocracy: prima di tutto perché non ne condividiamo l’ostinazione. Se ciascuna delle persone che ha manifestato in queste ore così vivo interesse per la libertà di espressione e di satira lo avesse fatto nei 364 rimanenti giorni dell’anno, probabilmente oggi non saremmo costretti a fronteggiare una vera e propria emergenza democratica, cui nessuna conversazione in rete, nessuna campagna di solidarietà via hashtag e nessuna condivisione delle vignette di Charlie Hebdo potrà mai sopperire. Perché è bene ricordarlo: è più semplice colpire bersagli isolati che un popolo intero che difende il suo diritto di sfottere Dio, se gli aggrada”.

… ma la libertà è sempre correlata alla responsabilità di fare e di vivere per costruire insieme spazi di comunione.
Per la cultura d’Occidente la libertà si definisce solamente con l’uguaglianza e la fraternità. E questo non lo dice la Chiesa ma è il risultato della Rivoluzione francese.

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In realtà quello che è stato colpito non è un bersaglio isolato, ma la punta estrema e più libera del giornalismo che è paragonabile alla vedetta posta sulla torre di controllo della nave della democrazia.

A volte basta una penna per disvelare le verità dei fatti, illuminare gli intenti malvagi o semplicemente accendere degli allarmi.

Speriamo non sia troppo tardi adesso! Come risponderemo all’appello della fraternità e dell’uguaglianza? E’ questa la domanda a cui le nostre società sono chiamate a rispondere.

Nè buonismo, nè giustizialismo, ma tanta giustizia e verità, e anche tanta responsabilità personale e sociale. Non serve gridare e indignarsi per continuare il giorno dopo a favorire quei comportamenti che possono fare divampare incedi incontrollabili.

Quello che è successo è una scheggia impazzita degli orrori che si stanno consumando in Medio Oriente dove è necessario intervenire al più presto per bloccare un nuovo genocidio.

Va però sventato un possibile rischio: considerare questi disordini come uno “scontro di civiltà” o, ancor peggio, una “guerra tra religioni”. Innescherebbero una guerra a catena che non finirebbe più.

L’Islam moderato è importante che condanni i massacri fatti dal Califfato e dai suoi giovani adepti che vedono in quel malvagio progetto un sogno da realizzare. Il nome di Dio non si può invocare per fare nessuna guerra e commettere nessuna violenza.

L’uso della forza della comunità internazionale deve essere accompagnato da una prospettiva di ricostruzione su tutti i piani sociale, economico, politico. Un intervento proporzionato per fermare l’aggressore va accompagnato da un intervento diplomatico dell’Onu per scongiurare tutti i tipi di “purificazione etnico-religiosa”: no al massacro di cristiani e Yezidi ma anche no a Paesi o ad enclaves date esclusivamente ai cristiani o ai minoritari in genere.

Oggi, nel cuore dell’Occidente, vale anche un’altro no: no al massacro dei giornalisti, no al massacro della libertà di stampa e della libertà di espressione che reggono le democrazie.

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Certo i governi devono intervenire, sceglieranno di prendere misure di sicurezza che comprimeranno le libertà personali. Anche l’Europa potrebbe e dovrebbe svegliarsi un po’ di più davanti a tragedie così. Ma, si sa, sono tutti buoni propositi per circostanze così drammatiche. Bisognerà vedere quando questo ricordo passerà dalla memoria sociale.

La verità è un’altra: le società dell’Europa sono vecchie e stanche, non riusciamo quasi più nemmeno a proporre un modello nostro, nutrito da una speranza o da sogni che ci facciano svegliare al mattino felici di costruire qualcosa insieme.

Sappiamo cosa non vogliamo e siamo abitati dalla paura di perdere quello che fino ad ora si è costruito… ma nulla di più. Tuttavia questo non basta più. La libertà può solo essere garantita da convivenze di pace.

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