Paolo Bonomi, fondatore e primo presidente della Coldiretti, nei suoi 36 anni di presidenza (1944-80), ha permesso che lo Stato riconoscesse i diritti di quella che era la classe più povera del Paese, i contadini.
È tuttavia curioso notare che non esistono bibliografie serie su Bonomi perché la sua vita è intrecciata a quella dell’opera da lui creata e diretta. Ma dagli studi sulla Coldiretti, la sua creatura, emergono il profilo umano e cristiano di Bonomi e le sue grandi capacità di leader sindacale.
Ma come e perchè nacque la Coldiretti?
Nel settembre 1943, durante la liquidazione delle corporazioni fasciste, Bonomi è nominato, dal Governo Badoglio, commissario della Federazione dei piccoli proprietari e fittavoli, branca della Confederazione degli agricoltori del fascio. Dopo aver ascoltato De Gasperi, Bonomi rifiuta l’invito del capo dei sindacalisti cattolici, Achille Grandi, che voleva far entrare la Federazione nell’organizzazione sindacale unitaria rappresentata dalla Federterra, aderente alla CGIL. Per Bonomi le masse contadine non sono protette nemmeno dalle sinistre che considerano lavoratori solamente gli operai delle fabbriche. La sua scelta lo porta a diventare uno degli argini politici anticomunisti: “Noi combattiamo il marxismo – afferma – perché i suoi interessi e quelli dei rurali non collimano […]. Dovunque il comunismo sia arrivato al potere, i contadini sono stati perseguitati e spogliati delle loro terre”.
Con la sua scelta anticomunista impedisce la nascita di un’alleanza tra operai e contadini che i comunisti considerano necessaria per la conquista del potere. Il suo no lo ribadisce nel 1947 a Giuseppe Di Vittorio che voleva l’organizzazione di Bonomi nella Federterra.
Il card. Pietro Pavan, la più autorevole voce della Dottrina Sociale della Chiesa, in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano il 12 febbraio 1985 dedicato alla fondazione della Coldiretti, ne testimonia i meriti sociali e politici. L’alto prelato, infatti, insieme a mons. Giovanni Battista Montini allora membro della Segreteria di Stato, è al fianco di Bonomi nei momenti cruciali della nascita e dello sviluppo dell’organizzazione.
Il card. Pavan ricorda la volontà di convergere verso un unico movimento delle forze lavorative della terra, che favorisse la nascita di una società democratica. L’idea era condivisa con vigore anche da Pio XII, ma c’erano forti dubbi su quale concezione di democrazia sarebbe stata scelta. Da qui l’impegno a “formare un gruppo di persone decise a dar vita a un Movimento sindacale” attento alle peculiarità di quella categoria sociale dell’agricoltura italiana: “La categoria delle aziende familiari; nelle quali il lavoro si compone in sintesi vitale con la responsabilità imprenditrice”.
Queste radici nutrono la nascita della Coldiretti, che da subito contribuisce a evitare che si riaccenda l’estremismo rivoluzionario dei primi del Novecento il cui terreno fertile è proprio nelle campagne. La scelta di campo della Coldiretti di Bonomi evita di far cadere il Paese nell’orbita sovietica e nella tragica esperienza del collettivismo forzato delle campagne dell’URSS e dei Paesi dell’Est d’Europa. Ma Bonomi è ancora oggi ricordato per le sue conquiste legislative volte alla modernizzazione economica, sociale e tecnica delle campagne.
Così, il 31 ottobre 1944, Bonomi fonda la Federazione Nazionale dei Coltivatori Diretti a Roma nel Palazzo Serlupi-Crescenzi in via del Seminario, investendo la propria liquidazione, insieme a un gruppo di fidati collaboratori che nominano Luigi Anchisi segretario generale. Partecipano molti dirigenti dell’Azione Cattolica Rurale. L’appoggio dei parroci rurali permette in pochi mesi di svolgere riunioni in tutte le campagne del Paese e questo permette il costituire, in ogni capoluogo, la “Federazione Provinciale Coltivatori Diretti, Mezzadri e Coloni”.
Dallo Statuto della Coldiretti del 1944 appare chiaramente la scelta di campo: la neonata organizzazione s’ispira ai principi della scuola cristiano-sociale e ha lo scopo di “agire in tutti i campi per difendere la gente della terra ed elevare economicamente e socialmente le classi contadine promovendo ogni iniziativa rivolta all’incremento della produzione agricola e al potenziamento delle aziende familiari”.
In occasione dei 40 anni della Coldiretti, Amintore Fanfani ricorda sulle pagine de Il Popolo del 12 febbraio 1985, il primo incontro con Bonomi nel settembre del 1945 a Piazza del Gesù. Glielo aveva presentato Pietro Campilli; in quell’occasione Bonomi chiese alla DC un prestito di due o tre milioni per avviare la Coldiretti. Gli venne accordato sia per la mediazione di Campilli sia per quella di Giuseppe Dossetti. “La mia considerazione – prosegue Fanfani – crebbe quando dopo pochi mesi constatai che Bonomi era un uomo di saldi propositi e di rispettate promesse: infatti non solo aveva proceduto a dare alla Confederazione dei Coltivatori Diretti una diffusa struttura, ma aveva già restituito la somma chiesta in prestito alla DC, con grandissima meraviglia di Restagno a quel tempo segretario amministrativo, che di richieste molte ne riceveva, ma per la prima volta vedeva uno dei richiedenti puntuale nello sdebitarsi”.
Bonomi, è dotato di un’intuizione pari solo a quella di Enrico Mattei che in quegli anni stava ricostruendo l’ENI. Recupera gli uomini migliori emarginati e licenziati della struttura fascista degli agricoltori. Offre loro un lavoro in Coldiretti e si garantisce personale che conosce l’agricoltura e desidera riscattarsi da un passato ingombrante. Allo stesso tempo recupera anche molti dirigenti delle Leghe Bianche esclusi dai fascisti. Con questo gruppo eterogeneo di tecnici forma una squadra capace di fornire i mezzi necessari per riprendere a coltivare la terra. L’afflusso in massa dei contadini è immediato e da subito si consolida il consenso intorno alla Coldiretti.
Sul piano sindacale, come ha avuto modo di scrivere p. Giuseppe De Rosa in un articolo dedicato a Bonomi pubblicato sulla Civiltà Cattolica nel 1987, la sua scelta crea una duplice rottura: a sinistra con i sindacati operai, a destra con la Confagricoltura che rappresenta gli agrari. Sul piano politico la Coldiretti, pur nell’autonomia, diventa l’alleata più stretta della DC e contribuisce a formare il “quadrilatero cattolico” (DC – ACLI – Coldiretti – CISL) che dura sino alla fine degli anni Sessanta, quando le ACLI e la CISL decidono di non avere più solamente la DC come interlocutore politico.
Nell’immediato Dopoguerra i contadini non hanno nessun diritto e sono la classe più povera del Paese: Bonomi diventa il loro rappresentante. Nel 1946 al I Congresso nazionale chiarisce che “gli interessi, le esigenze, i problemi delle piccole aziende non collimano con quelli delle grandi imprese né si identificano con quelli dei ceti salariali. Perché, se è vero che i coltivatori diretti sono imprenditori agricoli, è anche vero che il loro reddito è prevalentemente reddito da lavoro”.
Bonomi entra in Parlamento. È eletto all’Assemblea Costituente nel 1946, con 30.929 preferenze; contribuisce alla stesura degli articoli 41 e 42 sulla proprietà privata ed è membro della III Sottocommissione per l’esame dei disegni di legge. Nelle prime elezioni politiche del 18 aprile 1948, è eletto con 79.412 voti di preferenza: riesce a far eleggere nelle file della DC 23 deputati (Bonomi incluso) e 3 senatori appartenenti alla Coldiretti. Tra i primi parlamentari contadini alcuni degli artefici, a fianco di Bonomi, della storia della Coldiretti come Mario Vetrone eletto a Benevento, Ferdinando Truzzi a Mantova, Renzo Franzo a Vercelli. Bonomi siede alla Camera fino al 1983, per otto legislature, i suoi elettori romani gli rinnovano puntualmente la fiducia: 86.364 voti nel 1953; 151.000 nel 1958; 96.183 nel 1963; 145.875 nel 1968; 154.966 nel 1972; 119.653 nel 1976; 89.160 nel 1979.
Alla metà degli anni Cinquanta la “Legge Sturzo” sulle incompatibilità impone sia a Bonomi sia a Mattei di lasciare rispettivamente la presidenza della Federconsorzi (Federazione Italiana dei Consorzi Agrari) per rimanere deputato e il seggio alla Camera per la presidenza dell’Eni.
Gli studi sulla politica del Dopoguerra non hanno sufficientemente valorizzato la presenza della Coldiretti nelle elezioni del 18 aprile 1948 che ha evitato la vittoria del blocco social-comunista e ha contribuito a vincere ben più concretamente dei manifesti con i comunisti trinariciuti e della satira di Giovanni Guareschi. Ne dà testimonianza preziosa Aldo Moro, presidente del Consiglio (1974-1976) nel suo discorso ai quadri dirigenti Coldiretti il 20 maggio 1976:
“La vita democratica del nostro Paese sarebbe stata drammaticamente diversa […] se i coltivatori diretti non avessero garantito l’apporto insostituibile del loro voto e del loro consenso. Voi siete i garanti della libertà del Paese”.
Il brano è un estratto del volume di F. Occhetta e N. Primavera, Paolo Bonomi e il riscatto delle campagne.
Vedi anche… A proposito di cibo!
Occorre che ogni Città si diti di un Piano di Rilancio Agricolo per la Valorizzazione e la Salvaguardia dell’Ambienta e della Salute dei Cittadini. Occorre assolutamente ripartire dall’ordine Primario, Secondario, Terziario di base e Terziario avanzato e Post-terziario ed in cui il Primario ed il Secondario incidano per almeno un 50% al PIL. Questo può avvenire solo mediante la Promozione del Lavoro nell’Impresa Familiare e del Lavoro nelle Piccole Imprese a conduzione diretta dei titolari e quindi mediante Ditte Individuali, Società di Persone, Cooperative Sociali di Lavoro ed Imprese Sociali. Tale “sistema” di base va liberato dall’asservimento fiscale e contributivo in ragione del ruolo sociale che svolge in chiave di sviluppo economico e di tutela della condizione lavorativa di tutti i lavoratori coinvolti tra proprietà e prestatori d’opera.
Ogni forma societaria di Capitali sia tassata per la parte dei dividendi ed anche sull’incremento patrimoniale …
Il Lavoro deve essere promosso nella componente dignitaria e tale per cui non esistano sperequazioni tra lavoratore e lavoratore tenuto conto che le 24 h sono uguali per ogni persona e per tutte le persone … ed anche le ore lavorative. Anzi, i lavori manuali devono essere destinatari di maggiori retribuzioni e tutele ed altresì tempi di pensionamento che rispettino le oggettive condizioni di questa categoria di lavoratori rispetto ai lavori impiegatizi e dirigenziali … E’ questione di Giustizia Sociale.
Si può ripartire proprio dai Piani Agricoli Cittadini. E certamente non consentire mai più che vi siano terreni incolti e non messi a frutto in attesa dei cambi di destinazione urbanistica: in tali casi, essi vanno requisiti ed affidati, mediante espropri oppure mediante assegnazioni in locazione, ai giovani lavoratori organizzati in Cooperative ed Imprese Sociali.
Piano Agricolo Cittadino.
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