Al termine del convegno di Salerno del 24-26 ottobre “Nella precarietà la speranza” organizzato dalle Commissioni episcopali Cei per il Laicato, per la Famiglia e la Vita e per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, in cui ho partecipato con una relazione è stata scritta una “Lettera ai precari”, letta dall’arcivescovo di Campobasso-Boiano, monsignor Giancarlo Bregantini.
Per i suoi toni di impegno concreto della Chiesa italiana vicino a chi non ha lavoro vale la pena leggerla…
Lettera ai precari
La Chiesa è partecipe delle vostre sofferenze e delle vostre attese. E’ presente e cammina con voi. In questi giorni a Salerno, città del Sud, la mano del Signore ci ha raccolti attorno al dramma della precarietà, davanti ad un lavoro che sembra non arrivare mai e ad un progetto di famiglia che non riusciamo a realizzare, se non troppo tardi.
Abbiamo, infatti, dedicato un Convegno a livello nazionale a questo problema, che ormai riguarda tutti gli ambiti della nostra società: la famiglia, i giovani, le imprese, le relazioni sociali, il laicato e la Politica stessa. Ci ha illuminato l’intervento sempre accorato del nostro Papa Francesco e le preziose indicazioni del Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente Cei. Capiamo che è necessario, oggi, superare anzitutto la scissione che in questi anni ha portato a separare la fede dalla vita. Per questo, come Chiesa, abbiamo cercato un tempo per farci interrogare dal vostro dolore che spesso rimane inascoltato, come un grido lancinante che sembra non trovare ascolto né accoglienza presso le coscienze.
Tra le tante testimonianze, però, sentiamo ancora più vivo il richiamo ad una speranza concreta quanto comune. Per questo ci sembra di essere come quel giovane che, su invito del profeta Elia, va a scrutare un cielo chiuso, che non stilla la pioggia fecondante da molto tempo. Per sette volte la sua ricerca rimane vana, vuota. Solo la settima volta diviene decisiva, dopo tanta perseveranza: subito il cielo si oscurò per le nubi e il vento; la pioggia cadde a dirotto (1Re 18, 41-46).
La precarietà non è aridità, ma attesa. Arido è stato semmai quel sistema che ha sciupato inutilmente tante risorse, rubando la speranza che in voi va soltanto ridestata e rilanciata. E’ importante in questo momento non rassegnarsi. E per fare questo sono necessarie mani intrecciate e solidali. Infatti, dal grigiore del labirinto si esce soltanto accompagnando e facendosi accompagnare. Tirate perciò fuori le vostre paure e il vostro bisogno. Perché non siete soli. Non smetteremo di ricordarvi poi che accanto a voi cammina Gesù stesso, che resta ultimo con gli ultimi della storia umana, avendo Egli sperimentato cos’è la precarietà: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 58). La fiducia in Lui vi aiuti ad affrontare questo tempo di prova a fronte alta, per non vagare, per non fuggire, per non disperare.
Chiediamo alle parrocchie, al sindacato, al mondo educativo, alle banche e soprattutto alle Istituzioni di ripulire l’orizzonte futuro, in modo da poter guardare avanti senza più rabbie, né senso di sconfitta, né ostacoli che fino ad oggi hanno reso il nostro Paese incapace di sciogliere questo terribile nodo. E’ importante sostenere il Progetto Policoro, ormai maturo, che unisce Nord e Sud, capace di resistere con dignità, anche in questi anni di crisi.
Come Chiesa, inoltre, nel gesto di accompagnare, esprimiamo oltre che una vicinanza, un monito ben preciso, anche raccogliendo le testimonianze delle Associazioni laicali di ispirazione cattolica. Fondamentale sarà la modernizzazione di un piano industriale più organico da parte di una Politica responsabile e capace di difendere le nostre piccole e medie aziende, ossatura del mondo produttivo. Superiamo allora la facile tentazione della delocalizzazione, per favorire possibili posti di lavoro per tutti. Perché la Precarietà si vince insieme e mirando a creare un patto di fiducia tra le parti, superando ogni logica di scarto e di esclusione.
La famiglia resti al centro di tutti i prossimi provvedimenti sociali ed economici per continuare ad essere il primo soggetto permanente produttivo. Perché, nonostante la precarietà, nella società italiana resta, infatti, vivo il bisogno di famiglia. Quanto essa più sarà unita, tanto più darà certezza e coraggio ai figli. Senza mai stancarci di credere che c’è vita, c’è domani, dove c’è l’amore per l’altro, in particolare per i poveri, gli immigrati e chiunque è toccato, senza difesa, dalla precarietà. Il mantello, infatti, va restituito prima della notte perché diventi coperta e cioè restituzione di dignità per tutti i precari, soprattutto per i giovani.
Custodiamo questi propositi e questa speranza, orientandoci già da domani all’appuntamento che la Chiesa vi invita a vivere il prossimo anno, a Firenze, col Convegno Nazionale su Cristo e il Nuovo Umanesimo. L’umanesimo più pieno è, infatti, l’uomo che lavora e la coppia che ci dona figli.
Salerno, 26 ottobre 2014