La Costituzione italiana dedica alla famiglia e al matrimonio gli articoli 29, 30 e 31, le cui disposizioni sono tra loro connesse. Per i costituenti definire e regolare l’istituto familiare implicò un «cambio di rotta» culturale rispetto alla visione etica e antropologica su cui si basava l’idea di famiglia nel periodo storico pre-repubblicano.
Nello Statuto Albertino del 1848 il termine «famiglia» compariva esclusivamente in riferimento alla famiglia reale. Lo Stato liberale si limitava a tutelare l’istituto giuridico della famiglia per disciplinare gli aspetti di natura patrimoniale derivanti dagli effetti del matrimonio. Secondo il pensiero positivista dell’epoca, la famiglia era pensata come l’«ambiente» in cui la «donna-madre preparava l’avvenire del popolo italiano» insegnando la morale e la religione.
Con l’avvento del regime fascista la famiglia venne asservita ai fini dello Stato. I genitori avevano il dovere di educare e istruire la prole sui «princìpi della morale» e in conformità al «sentimento nazionale fascista» (art. 147 cc.).
In breve, fino alle soglie della Costituente del settembre 1946, la famiglia aveva il compito di trasmettere i valori fascisti e garantire la figura del pater-familias.
L’eredità del dibattito sulla famiglia in Assemblea Costituente
L’art. 29 può essere paragonato a una trave sorretta da quattro colonne, anzitutto dal principio di solidarietà e da quello personalista dell’art. 2, in cui si afferma che la Repubblica «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità»; poi dal principio di uguaglianza (ex art. 3 Cost.) e di autonomia riconosciute dall’art. 5.
Degli enti intermedi, teorizzati da La Pira in sede costituente la famiglia è l’«ente intermedio base» perché costituisce una sorta di presupposto pre-politico in cui si traduce una visione antropologica di carattere relazione, in cui la persona è colta nel suo naturale sviluppo crescendo negli affetti e nelle relazioni solidali. Rispetto alla famiglia «cellula dello Stato» concepita dal fascismo, la famiglia nella Costituzione è pensata come luogo della relazione e della formazione alla vita politica e sociale del Paese.
La famiglia come «società naturale» fondata sul matrimonio si basa sul pensiero giusnaturalista. Il senso del dibattito alla Costituente e l’intenzionalità morale che mosse i costituenti riportano al centro due categorie, quelle di persona e di reciprocità.
La prima rimanda alla responsabilità di realizzarsi mediante il dono di sé, la seconda invece richiama a un elemento antropologico biblico, in cui l’essere umano non può esistere «solo» ma soltanto in relazione a un’altra persona.
In un tempo in cui sembrano prevalere le unioni libere, i divorzi e la sfiducia verso i legami matrimoniali «per sempre», è utile approfondire invece il concetto personalista della reciprocità che non si limita all’«essere con» ma è soprattutto un «essere per» sia nell’ambito privato che sociale. Dal dibattito dei costituenti emerge anche il ruolo fondamentale di sostegno e di aiuto dello Stato alla famiglia che ci fa invece chiedere quanto sia stato rispettato dalla classe politica.
Dai verbali della Costituente, emerge che anche il pensiero cattolico del tempo aveva accentuazioni differenti. Per l’on. La Pira la famiglia doveva essere riconosciuta e protetta come istituto di diritto pubblico, perché è, secondo l’onorevole fiorentino, un negozio di diritto divino, un vero e proprio istituto trascendente che gode di una sua autonomia e di un particolare riconoscimento. Per l’on. Dossetti la famiglia era un unicum che, benchè dipenda dal valore della persona umana, è comunque una realtà da tutelare in sé. Per l’on. Moro invece la famiglia era il luogo in cui meglio di ogni altro il soggetto può crescere e realizzarsi; pertanto l’art. 29 era compreso come manifestazione dell’art. 2 della Costituzione.
Quella dell’on. Dossetti, rimane la posizione assunta sia dalla dottrina sia dalla Corte Costituzionale. Nella sua visione la famiglia dev’essere compresa in una visione teologica, non è l’estensione della propria realizzazione ma è il formare attraverso l’alterità, una propria autonomia data dall’unione di un uomo con una donna.
Per la Costituzione non può esistere famiglia se questa non è fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Nella misura in cui questa formazione sociale è produttiva di trame di relazioni interpersonali, da cui derivano diritti e doveri per il divenire della persona e per il bene della società, si richiede un atto formale e solenne per la sua costituzione con il quale coloro che intendono costituire una famiglia si assumono coram omnibus i diritti e i doveri che conseguono alla scelta assunta.
A fondare questa concezione ha contribuito l’antropologia cristiana, ma sono la Corte Costituzionale italiana e la Corte di Giustizia europea a sostenerla attraverso sentenze recenti.
Per approfondire in un articolo della Civiltà Cattolica o nel volume Le radici della democrazia
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