Il referendum consultivo del 26 maggio, a Bologna, contro i fondi alle scuole materne paritarie ha vinto con il 59% dei votanti. Meno di un bolognese su tre ha partecipato alla votazione, hanno votato infatti quasi in 86 mila, il 28,7% degli aventi diritto.
L’opzione «A» ha vinto con 50.517 elettori, mentre la «B» ha perso con 35.160 elettori. Si tratta di una forma di democrazia partecipativa importante che ha mobilitato parecchie persone su un tema che rischia però di essere troppo politicizzato.
Da qui è importante non fare di tutta un erba un fascio, senza trasformare questa votazione in una questione politica nazionale.
Anzitutto perché si tratta di una consultazione non vincolante per il sindaco, secondo perché, se la votazione avesse avuto un quorum, oggi invece di una vittoria, saremmo qui a commentare una sconfitta.
Un pensiero va però agli astenuti. In democrazia ci sono temi, come quello della salute, della giustizia e in questo caso, quello della scuola, su cui è fondamentale esprimersi, per non lasciare che l’opinione di minoranze prevalgano sulla sensibilità e le scelte della maggioranza, solamente perché la maggioranza non si esprime.
In particolare il rischio è quello di pensare che le scuole private non servano allo Stato, consumino risorse e non svolgano un ruolo pubblico.
Già, la scelta si dice venga ispirata dal’art. 33 della Costituzione. Ma tutto l’articolo V che parla alla sussidiarietà e delle forme di coopartecipazione tra pubblico e privato?
Bisognerebbe leggere gli atti della Costituente per capire che si stanno strumentalizzando le radici della costituzione. Basti comunque ricordare una citazione di Gramsci per capire come il tema in questione è caldo oggi come allora. Cambia però la finezza di affrontarlo però:
Concludo questo lungo post con una citazione di Antonio Gramsci che risale a quasi un secolo fa. Scrive Gramsci: “Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato. Noi dobbiamo farci propugnatori della scuola libera e conquistarci la libertà di creare la nostra scuola. I cattolici faranno altrettanto dove sono in maggioranza; chi avrà più filo tesserà la tela”.
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Da qui la mia riflessione per cercare di dimostrare il ruolo sociale e di alto profilo pubblico della scuola privata!
Lo scorso anno le scuole cattoliche e di ispirazioni cristiana in Italia sono 9.295 con 740.636 allievi.
Sono ancora molte le famiglie italiane che ripongono fiducia nella scuola cattolica.
Tuttavia le difficoltà di coloro che le gestiscono crescono con il passare degli anni a causa dei gravosi costi del personale e della messa a norma degli edifici, nonostante ogni allievo costi allo Stato 1/3 in meno di un suo coetaneo nella scuola pubblica.
Anche se l’Ordinamento riconosce la parità scolastica e il diritto dei genitori di scegliere la scuola per i loro figli, il servizio pubblico che svolgono le scuole cattoliche non gode di nessun riconoscimento dello Stato, i costi gravano interamente sulle scuole e le famiglie costrette a pagare rette che vanno da 2.500 a 7.000 euro all’anno.
Per poter accogliere coloro che hanno difficoltà a pagare, molte scuole cattoliche stanno costituendo fondazioni private, ma lo sforzo è ingente e non è la soluzione scelta da altri Paesi come Francia e Spagna in cui le scuole e le famiglie sono aiutate da sussidi statali.
Ci sembra che non si voglia ascoltare sufficientemente il contributo silenzioso e fruttuoso in termini di risultati che la scuola cattolica offre al Paese.
Invece di tante polemiche perché non promuovere una riflessione comune tra tutti gli operatori della scuola presenti nel Paese gioverebbe a tutti, in particolare servirà al bene dei ragazzi[1].
Da anni, infatti, nella scuola cattolica è emersa l’importanza di curare in modo particolare la crescita integrale dei ragazzi della scuola media. A sollecitarlo sono state le famiglie che, più che chiedere contenuti, sono interessati a una nuova pedagogia di accompagnamento.
L’esperienza dell’apprendimento è ormai approdata a metodi di studio basati sul capire, l’applicare, l’analizzare, il sintetizzare, il valutare.
I punti di riforma della scuola pubblica sono già quasi tutti presenti nel modello di insegnamento della scuola cattolica.
Anzitutto la personalizzazione tiene conto del contesto reale in cui vive l’alunno, cioè la famiglia, la condizione sociale, il clima culturale della città, la condizione della Chiesa, i mass-media, gli interessi personali. Inoltre il prolungamento dell’orario scolastico anche al pomeriggio permette ai ragazzi di crescere ed essere accompagnati a relazionarsi attraverso lo sport, l’arte e la musica.
Anche l’introduzione della figura del tutor, presente in molte scuole cattoliche, sta dando buoni frutti. Il particolare profilo di educatore che accompagna a crescere lo studente nel rapporto con i compagni, con i professori e con i genitori aiutandolo a vivere esperienze di apprendimento non solamente intellettuale ma anche di natura affettiva ed esperienziale per tematizzare ciò che si è imparato.
La riflessione è un processo di formazione e di liberazione che forma la coscienza degli alunni (convinzioni, valori, atteggiamenti e modi di pensare) per prepararli ad una vita in cui il servizio agli altri da senso all’agire individuale.
I Gesuiti poi hanno basato la scuola europea sui princìpi pedagogici della Ratio studiorum per molti secoli [2].
Tra i meriti di questo metodo, che viene ripreso e applicato dalla pedagogia ignaziana [3], è centrale il momento affettivo-valutativo dell’apprendimento che spinge l’intelligenza all’azione e all’impegno.
C’è un altro aspetto: la valutazione. La pedagogia della scuola media cattolica include procedure di valutazione rigorose sia per gli studenti sia per i professori. Ogni allievo deve sapersi autovalutare ma anche confrontarsi con il docente per misurare il proprio livello di apprendimento attraverso il voto sul lavoro svolto. In questa cammino, in cui la scuola si pensa come una comunità di educatori, famiglie, personale ausiliario e allievi, sarà più facile sostenere chi dubita, rassicurare chi indugia, incitare chi si blocca.
Per abbattere il tasso di abbandono scolastico del 20% nelle superiori — l’Italia è la peggiore nella media dei Paesi Ocse —, bisogna ripartire dal merito e da un nuovo patto educativo di corresponsabilità, basato sulla fiducia e la collaborazione tra genitori, professori e allievi.
La scuola parificata continua a svolgere un servizio paragonabile a quello di una pista d’aeroporto che permette agli aerei di raggiungere mete lontane. Basta vedere il posto che occupano i suoi ex alunni. Costruirla bene e assicurarle la giusta manutenzione è compito e responsabilità dell’intero Paese.
[1] Cfr C. Carmagnani – M. Danieli – V. C. M. Denora (eds.), Un Paradigma pedagogico didattico per la scuola che cambia. Una sfida educativa per il terzo millennio, Milano, Principato, 2006.
[2] Cfr G. Raffo (ed.), La «ratio studiorum». Il metodo degli studi umanistici nei collegi dei gesuiti alla fine del secolo XVI, Milano, San Fedele, 1989.
[3] Cfr La pedagogia ignaziana. Introduzione alla pratica, Napoli, Cis, 1994. Il documento è scaricabile: http://www.cefaegi.it/allegati/2.pdf