La deontologia dei giornalisti prima di fondarsi su regole (esterne) si fonda su cinque principi (interni) del giornalista: 1. la responsabilità che è la capacità del giornalista di saper valutare gli effetti e le conseguenze della notizia nel rispetto del bene comune; 2. la preparazione rigorosa che richiede di applicare a regola d’arte tutte le tecniche della professione; 3. la credibilità che è forza di non essere falsificati; 4. la coerenza: la capacità di far corrispondere ciò che si crede e si vive con ciò che si dice; la capacità di attaccare le idee e di rispettare la persona.
Per i giornalisti è in atto un cambio epocale:
Dalle 5 W WHO, WHAT, WHERE, WHEN, WHY
…alle 5C:
Context (la geopolica dell’informazione, la paralisi della codificazione dei diritti…)
Conversation (una notizia pubblicata è solo l’inizio… poi viene dibattuta, criticata, levigata ecc.)
Curation (discernere ciò che è servizio pubblico da ciò che sono rumori, pruriti, o il servizio ad altri interessi)
Community (si procede per comunità e si diventa punti di riferimento… il legale della fiducia è fondamentale)
Collaboration (lavorare tutti verso lo stesso obiettivo, chi fa l’assolo viene espulso dal sistema)
Per rifondare la dimensione del dovere (che è sempre una responsabilità verso l’altro) è importante rilanciare l’etica della responsabilità che è alternativa all’etica dominante, quella della convinzione (la stretta osservanza formale delle regole che si osservano per essere nel giusto).
Ma basterebbe una massima antica di Publio Siro per rifondare la deontologia «Accettare un beneficio equivale a vendere la propria libertà». È il crinale su cui si gioca la deontologia.