Il 3 maggio di ogni anno si celebra la giornata mondiale della libertà di stampa, grazie al duro prezzo che molti comunicatori e giornalisti hanno dovuto pagare in tanti angoli del mondo attraverso ricatti, soprusi… fino a pagare con la vita la difesa della verità dei fatti.
Come ogni libertà, anche la libertà di stampa è tale se nell’altra faccia della moneta c’è il dovere della responsabilità. Libertà di stampa infatti non significa “dire quello che si vuole”, ma difendere la libertà dei fatti al servizio di coloro che non hanno voce. E’ una libertà non dal voler e poter scrivere quello che si vuole… ma una libertà per e a servizio dell’altro.
La verità (dei fatti), quella che a volte oggi si rifiuta in nome di un equivoco concetto di libertà di espressione, in realtà non può mai essere posseduta.
Libertà di stampa significa vivere una «dimensione di comunione» in cui la comunicazione «mette in comune» quanto si è potuto comprendere. Altrimenti l’informazione diventa soltanto trasmissione gridata di quella verità che ciascuno pretende di imporre.
Ci chiediamo: in nome di questa libertà un giornalista deve privilegiare la casualità, la contingenza, la reazione a caldo di una notizia, oppure la sua profondità e il suo senso?
La sentenza della Corte di Cassazione del 1984 rimane tuttora un punto di riferimento che ci aiuta a rispondere sui limiti del diritto di cronaca:
«Il diritto di stampa (cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti) […] è legittimo quando concorrano le seguenti tre condizioni:
1. utilità sociale dell’informazione;
2. verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti;
3. forma “civile” della esposizione dei fatti e della loro valutazione».
La verità dei fatti, ha aggiunto la Corte, «non è più tale se è “mezza verità” (o comunque, verità incompleta): [che] deve essere, pertanto, in tutto equiparata alla notizia falsa». Anche la critica «non è civile», quando «eccede lo scopo informativo» e «non è improntata a leale chiarezza» [1].
L’avvento dei media digitali ha segnato un «prima» e un «dopo» nella definizione e nella percezione della libertà di stampa nel loro rapporto con l’opinione pubblica. In questo nuovo scenario perfino l’art. 21 della Costituzione assume un significato più ampio rispetto al tempo in cui è stato pensato dai costituenti: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Non onora la libertà di stampa pensare a molti organi di stampa progettatati come arene moderne in cui il giornalista, invece di essere arbitro, gioca il ruolo del «gladiatore» e scende in campo per lottare e vincere.
Davanti a giornalisti che dicono mezze verità e occultano le notizie, il cittadino non è in grado di difendersi. Questi atteggiamenti ledono la libertà di stampa.
Invece la credibilità del giornalismo si fonda, sulla capacità del giornalista di ricercare prima e raccontare poi la verità e sulla responsabilità di calcolare le conseguenze dei sui atti. In questo tempo il giornalista cattolico, che non è migliore di altri, ha una responsabilità in più: comunicare «buone notizie».
Tre sono le priorità su cui basare la deontologia della libertà di stampa:
– la responsabilità di coloro che la esercitano (saper valutare gli effetti e le conseguenze della notizia);
– la preparazione rigorosa di chi la insegna (conoscere e saper applicare le tecniche della professione);
– la credibilità di coloro che la vogliono testimoniare (rispettare la verità sostanziale dei fatti).
Altrimenti, «quando si disconosce il significato del fatto, si finisce col dissolvere il fatto; il misconoscimento del significato tende a riversarsi sul fatto e a dissolverlo» [1].
Vivere queste dimensioni significa celebrare nel modo più degno questo grande diritto che si riassume così: “L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”. Anna Stepanovna Politkovskaja.
[1] F. Varillon, Traversata di un credente, Milano, Jaca Book, 2008, 74s.
[1] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza n. 5259/1984, in Il Foro italiano, 1984, vol. CVII, 2712.
Per approfondire in www.laciviltacattolica.it
– Francesco Occhetta, «Il giornalismo italiano tra crisi e opportunità», in Civiltà Cattolica 2011 IV 120-130.
– Id., «La precaria credibilità del sistema dei media», in Civiltà Cattolica 2011 I 319-324.
– Id. «Per un giornalismo responsabile», in Civiltà Cattolica 2012 I 562-573.