Ho vissuto in Spagna due anni, conosco gli effetti che quella legge elettorale produce sui territori e sulla gente. Tuttavia sembra che una parte politica sia interessata a riprodurla in Italia…
Provo ad accennarvi qualche conseguenza.
Anzitutto applicare il sistema elettorale spagnolo significherebbe ridurre il territorio in piccole circoscrizioni (118) prevedendo un premio di maggioranza del 15% (92 seggi) alla lista che vince. In ogni circoscrizione si eleggono 4 o al massimo 5 deputati.
Si riprodurrà la logica dei feudi… dove il signorotto potente del territorio farà una lista ed entrerà in parlamento per garantire gli interessi dei suoi valvassori e valvassini.
Ma è davvero questo il bipolarismo che si vuole?
In Spagna questo sistema è stato pensato per favorire le autonomie che hanno forti spinte separatiste. Nelle ultime elezioni politiche del novembre 2011, vinte da Mariano di Rajoy, leader dei popolari i socialisti sono entrati al Congresso con 110 deputati su 350 (59 in meno dell’ultima legislatura) e si attestano al 28,73%. Perdendo quasi la metà del loro elettorato, che da 11.259.199 elettori del 2008 è passato ai 6.952.066 attuali, conseguono il loro peggior risultato nei trentaquattro anni di democrazia spagnola .
Ma senza precedenti è da considerare anche la vittoria dei popolari di Rajoy che, ottenendo 10.830.693 voti (44,62%), entrano al Congresso con 186 deputati e crescono del 4,55% rispetto alle ultime elezioni politiche del 2008. Il Pp vince nettamente anche al Senato eleggendo 136 senatori contro i 48 dei socialisti e i 24 dei partiti minori .
La sproporzione dei risultati elettorali è sotto gli occhi di tutti: il partito basco, Amaiur, con 333.628 voti ha conquistato 7 deputati; Izquierda unida, terzo partito da sempre per numero di voti, ha conquistato 11 seggi con 1.680.810 voti; il partito di Rosa Díez, l’UPyD (Unión Progreso y Democracia), ha ottenuto 5 seggi nonostante 1.140.242 voti, senza nemmeno raggiungere il numero di sei deputati necessario per costituire un gruppo parlamentare. Ci si chiede se sia sufficiente che il sistema elettorale spagnolo continui a favorire la stabilità di governo e i due più grandi partiti, senza garantire ai cittadini una rappresentanza proporzionale ai voti espressi e un controllo reale sulle nomine dei candidati scelti dalle segreterie politiche. In Spagna il suffragio è diretto, l’elettore vota una lista con candidature bloccate senza poter esprimere nessuna preferenza , mentre i seggi al Congresso sono ripartiti su base circoscrizionale attraverso il metodo proporzionale. La domanda che ci si pone è semplice: se tale modello garantisce stabilità ai Governi e una buona rappresentanza alle forze di carattere locale, perché non premiare anche le forze politiche i cui voti sono distribuiti in tutto il territorio? Sarebbe sufficiente prevedere una più equa ripartizione dei voti, per non escludere dall’arco costituzionali milioni di voti e premiare eccessivamente pochi migliaia di elettori che si concentrano in un territorio solo???
Verso il sindaco d’Italia?
Il modello a doppio turno di coalizione dei sindaci sembra essere il modello più adatto al nostro Paese. Al vincitore verrebbero assegnati il 60% dei seggi, il resto dei seggi verrebbe diviso proporzionalmente tra i perdenti. Potrebbe essere possibile un sistema con liste corte bloccate, con preferenze o con collegi. Ma si impone uno sbarramento almeno del 5%.
Lo ha dichiarato anche il costituzionalista Stefano Ceccanti: “per conservare lo scopo ultimo della legalità mi sembra difficile evitare il doppio turno di coalizione. Avrebbe l’innegabile vantaggio di offrire una forte legittimazione per il partito che vincesse il doppio turno” (La Stampa, mercoledì 15 gennaio 2014, p. 5).
Con questo sistema conosceremmo il nome di chi eleggiamo e in più, eliminando le forze politiche estreme si permetterebbe alle forze moderate di governare il Paese.
Questo modello si ispira alla Legge 81/1993 per l’elezione dei sindaci che però favorisce la forma di governo definita neoparlamentare. Per l’elezione diretta del sindaco o del presidente di Provincia e stabilisce il sistema elettorale è quello proporzionale con soglia di sbarramento e premio di maggioranza in favore della coalizione che sostiene il candidato che ottiene più voti. Si tratta di un sistema che assegna centralità all’organo esecutivo, favorisce le coalizioni elettorali, mantiene la presenza dei gruppi consiliari legati ai partiti. Di analoga qualità è la Legge costituzionale del 22 novembre 1999 per le elezioni regionali, nella quale si prevede l’elezione diretta del presidente della Regione in un turno unico di votazioni, mentre il Consiglio regionale è eletto con un sistema proporzionale con premio di maggioranza in cui un quinto dei seggi è attribuito sulla base di liste regionali con capolista il candidato presidente, mentre quattro quinti dei seggi sono attribuiti proporzionalmente, sulla base di liste provinciali con voto di preferenza e sbarramento al 3%.