Ruota intorno a tre domande l’intervento che il gesuita novarese Francesco Occhetta ha svolto sull’ultimo quaderno de La Civiltà Cattolica a riguardo della presenza dei cattolici democratici sulla scena della politica italiana, in quella che può essere considerata una fase nuova della stessa politica. Non della terza repubblica, a nostro giudizio, come il sentir comune sembra voler indicare, ma bensì “nuova stagione della politica”, all’interno di quella che è l’unica Repubblica Italiana, nata con la costituzione del 1948 e mai mutata, sebbene le leggi elettorali abbiano cambiato l’aspetto compositivo del parlamento.
I quesiti che sul tappeto si prospettano, per i cattolici democratici, possono essere tre – ci dice nell’intervista da noi formulatagli in questi primi giorni dell’anno: essere o non essere un partito? Intorno a quali programmi e a quali riforme convergere se l’appartenenza politica rimane diversa? In quali luoghi e su quali contenuti aggregarsi per ricostruire un’identità comune prepolitica e prepartica?
Entriamo subito nel vivo della discussione attuale. Quale modalità potrebbe essere più adatta per i cattolici in politica?
Una premessa: il cattolicesimo democratico prima di essere una filosofia politica, ha rappresentato in Italia un modo di concepire e di vivere la democrazia nel suo orizzonte antropologico ed etico. Oggi invece la politica ispirata dai cattolici sembra avere perso la bussola.
Non basta dire, come fanno i politologi, che tutto dipenda dalla tecnicizzazione della politica alla sua mediatizzazione, dalle oligarchie chiuse della classe dirigente nazionale alla politica intesa come professione. Ad incidere sono fattori, come i nuovi linguaggi, i nuovi modi di comunicare e la secolarizzazione delle idee basate su proposte «deboli» e di corto respiro, che hanno fatto perdere il fine verso cui tendere, lasciando posto agli «emotivismi», che legittimano le convinzioni particolari come verità assolute.
Che cosa invece ha insegnato il cattolicesimo democratico?
Fondamentalmente che la politica non è né una somma di princìpi, né una forma di governo, ma è premessa e condizione per l’agire politico.
Può spiegarsi meglio?
Per il credente impegnato la politica va elaborata attraverso valori e princìpi. Un leader per la tradizione cattolica non può cascare dall’alto ma deve rappresentare un pensiero in cui tutti si riconoscono: saper difendere i diritti e chiedere i giusti sacrifici, pensare a percorsi di riconciliazione sociale, umanizzare gli spazi pubblici, offrire servizi alle famiglie, e prendere posizione in favore dello sviluppo solidale (dalla crisi della finanza a quella ecologica, e a quella indotta dalle migrazioni e dalle guerre) ecc. In più un leader può solo essere credibile per le sue scelte e la sua vita… non per le battutine e gli slogan che ci hanno abituati ad ascoltare e che stanno allontanando la gente dal desiderio di impegnarsi. Rischiamo che la maggioranza di chi rimane lo faccia per interessi personali o di gruppo. Quando invece il card. Martini insegnava il discernimento in politica propendeva per una gerarchia di valori e non, in linea di principio, per una parità di diritti o di interessi da dividersi. La politica secondo il Cardinale è saper percorrere insieme e con prudenza cammini differenti e il punto discriminante avere come criterio di decisione sempre gli ultimi onesti.
Ma da dove ripartire, dunque, p. Occhetta? Quali sono i valori costitutivi di un’autentica democrazia per la tradizione del cattolicesimo democratico?
Anzitutto l’amore per il proprio territorio e la propria città, «prescindendo dalle “appartenenze” parziali che fanno riferimento ai partiti, ai localismi, agli interessi organizzati». Il secondo valore è quello della giustizia da perseguire con convinzione, senza ingannarsi che il principio di uguaglianza possa da solo portare alla giustizia.
In tanti sognano una nuova democrazia cristiana, come un toccasana, una via già provata per poter quasi consegnare le proprie incertezze e così tornare quasi ad una sorta di tranquillità. Sarà una via ancora percorribile ?
Il significato che oggi ha il «cattolicesimo democratico» va oltre l’esperienza di Dossetti, La Pira, Moro, e va inteso come «l’esperienza di quei cattolici che fanno i conti con la politica, che si sentono pienamente tali e pienamente democratici». In altre parole il «cattolicesimo democratico» è il contributo e la riflessione di tutti i cattolici che si occupano di democrazia . Per gestire questa complessità fino agli anni Novanta ha prevalso l’intuizione di De Gasperi e di Montini, di creare un’unità politica dei cattolici e un «centro politico», scegliendo la democrazia contro i sistemi totalitari. Questa strategia ha consentito di aggregare tutte le forze laiche moderate — permettendo che si «allargasse l’area del ceti medi, diffondesse la piccola proprietà, sostenesse le piccole e medie imprese, i coltivatori diretti, gli artigiani, redistribuisse, per mano politica e in modo meno diseguale, la ricchezza». D’altra parte, però, la poca responsabilità di molti uomini politici, cattolici inclusi, ha occupato le istituzioni e creato il partito di Stato. Quel centro politico, fisiologico per un elettorato moderato, si è nel tempo trasformato in centro di potere, di clientelismo, di assistenzialismo, di affari sporchi. Invece di «una conversione» e una presa d’atto che toccasse l’identità e il livello spirituale della testimonianza politica, si è ritenuto che bastasse il tatticismo a rilanciare un’appartenenza. Sono stati i comportamenti individuali ad eclissare il patrimonio di una eredità ricevuta. La DC spaccandosi «fra due centri», — come ha sottolineato Pietro Scoppola — ha paralizzato il sistema. È mancata la fiducia interiore che il politico credente vive nei tempi di crisi, come descritta dall’ultimo Dossetti.
Se le cose stanno così, che cosa significa, dunque, padre Occhetta, libertà interiore e cambiamento per i cattolici in politica?
Per la Chiesa l’impegno dei cattolici in politica non è in questione, come hanno con forza ribadito sia Papa Francesco sia Benedetto XVI, il quale nel 2008 in Sardegna ha descritto le cinque caratteristiche che deve avere un cattolico in politica: coerenza con la fede professata; rigore morale; capacità di giudizio culturale; competenza professionale; passione di servizio.
Su quale focus allora verte, di fronte ad un laicismo che in Italia assume più i connotati di anticlericalismo, l’impegno dei cattolici democratici?
La riflessione deve vertere piuttosto sulla qualità dell’agire «sul cosa e verso dove» piuttosto di chiedersi il «come». Continuare a chiedersi se formare un partito unico, far confluire la presenza dei cattolici in uno schieramento o occupare il centro con tante ininfluenti forze di ispirazioni cattolica impedisce di far emergere la domanda chiave: perché è importante che il mondo cattolico rimanga unito.
Perché è importante questa unità, Padre Occhetta, al di la di un partito?
La priorità per il mondo cattolico oggi non può che essere la cura della democrazia in tutte le sue forme, una cura da nutrire con i princìpi della dottrina sociale della Chiesa e i princìpi costituzionali. Questo è il nucleo su cui costruire l’unità dei cattolici. È urgente formare una presenza pre-partitica che stimoli e proponga ai partiti disegni di leggi, soluzioni di problemi, organizzi forme di controllo, proponga un progetto concreto di società, contribuisca a formare le giovani generazioni. È più incisivo e radicale una presenza che, a partire dalla base dalla società, chieda ai partiti risposte su contenuti piuttosto di limitarsi accontentandosi di pochi ed etichettati rappresentanti del mondo cattolico distribuiti in varie forze politiche. L’organizzazione politica, rispetto a questi elementi, è secondaria .
La priorità rimane la capacità di discernere nei problemi dell’agenda politica quei rimandi all’antropologia cristiana che permettano di spostare la domanda dal singolo problema — che può avere soluzioni tecniche diverse tutte compatibili con la fede — ai processi di discernimento che portano alla luce le domande di senso sull’uomo e sul mondo, proprie di una civiltà umana. Ecco da dove iniziano le risposte da dare ai temi che trattano il rispetto della vita umana (come ad esempio la legge sull’omofobia), il rifiuto della guerra, la giustizia, l’uguaglianza sociale, le strutture di sussidiarietà orizzontale, le forme di conciliazioni sociali. Solamente così si potranno attraversare le nuove e urgenti frontiere della biopolitica.
Il rischio sarebbe però alla fine quello di trasformarsi in una perenne minoranza. E in democrazia sono i numeri che fanno la somma
No, non può ridursi a somme. Trasformarsi in una minoranza feconda porta – come altre esperienze di democrazie insegnano – i cattolici che si interessano di politica a difendere il lato umano delle scelte politiche, la progettazione di un nuovo patto educativo e l’ideazione di un futuro per le giovani generazioni, senza più occuparsi degli esperimenti politici di molti gruppi di ispirazione cattolica che fanno nascere partiti nazionali e locali che nascono e muoiono in base ai sondaggi e alle elezioni. Attraverso questo nuovo atteggiamento spirituale e interiore, i politici che vivono la politica da cattolici non si devono porre il problema del dove stare, — il voto del mondo cattolico è ripartito ormai fra tutte le forze politiche —, ma su come formarsi; parrocchie, diocesi, movimenti, hanno delegato ad altri la formazione politica del credente impegnato a gestire il settore pubblico. L’irrilevanza politico-partitica non sarebbe tanto grave quanto un’irrilevanza prima di tutto d’opinione e di idee. È vero: il bipolarismo politico di questi ultimi venti anni ha prodotto un bipolarismo ecclesiale, che ha creato in molte comunità ecclesiali una barriera verso l’impegno nel mondo. Scommettere su una formazione di medio periodo è però possibile. Occorre, per questo, un patto intergenerazionale anche tra le generazioni di cattolici, inoltre la vera sfida non è tanto l’unità politica dei cristiani, ma come costruire l’unità nel pluralismo. Sarebbe una grave perdita culturale per il Paese esaurire l’esperienza di tanti uomini e donne che proprio grazie allo loro fede ha pensato la Costituzione e successivamente ha sostenuto la democrazia.
Marco Canali, Vice direttore Azione di Novara