Matteo Ricci
Il gesuita che stupì la Cina
La vita di Matteo Ricci, il gesuita che non ha portato in Europa i tesori dell’Oriente, ma ha regalato alla Cina la cultura dell’Occidente, ha dello straordinario: astronomo e teologo, studente di diritto e matematico, missionario e diplomatico, scienziato e sinologo.
Nasce il 6 ottobre 1552 in una nobile famiglia a Macerata, primo di 13 figli. Nel 1561, a nove anni, inizia gli studi nella scuola dei gesuiti, mentre aiuta il padre farmacista che lo vuole avvocato. Nel 1571 entra nel noviziato dei gesuiti a Sant’Andrea al Quirinale a Roma, interrompendo gli studi di giurisprudenza. Poi, grazie alla sua intelligenza e tenacia, nel corso della sua formazione si dedica alla filosofia e alla teologia, insieme a studi scientifici, di astronomia, geografia, cosmologia e in particolare di matematica. Dal 1572 al 1577 studia prima a Roma al Collegio Romano – l’attuale Università Gregoriana –, poi al Collegio di Firenze per gli studi di umanità.
Nel giugno 1577 il p. Mercuriano, Generale dei Gesuiti, lo invia in Oriente come missionario. Insieme a tredici compagni gesuiti, il 24 marzo 1578 salpa da Lisbona per l’India e dopo sei mesi di navigazione arriva a Goa (India occidentale), il 13 settembre dello stesso anno. In quella città, crocevia di commercio e di cultura, studia la teologia mentre insegna latino, poi si ammala gravemente. È portato a Cochin nel sud dell’India per curarsi; ristabilitosi torna a Goa, dove viene ordinato sacerdote il 26 luglio 1580.
Si incultura per vivere la missione
Ricci non è stato il primo europeo ad entrare in Cina, fu preceduto da Marco Polo, e da mercanti e personaggi politici portoghesi. Non è stato nemmeno il primo a introdurre il Cristianesimo in Cina. Fu preceduto dai Nestoriani, che si allontanarono sempre più dai confini dell’Impero Bizantino e penetrarono anche nella Cina, tra il 635 e il 980 d.C. fondando comunità cristiane, ma lasciando scarse tracce della loro presenza. Seguirono i Francescani, dal 1245 al 1368, al tempo in cui la Cina era caduta sotto il dominio dei Tartari; ma sparirono anch’essi senza lasciare tracce dopo che la dinastia tartara fu eliminata da una dinastia cinese. Il Ricci non fu neppure il primo religioso (domenicani e francescani) e neppure il primo gesuita, a entrare in Cina; questi erano entrati ma erano stati espulsi immediatamente in quanto stranieri.
La missione apostolica del Ricci va inquadrata in quella della Compagnia di Gesù nell’Estremo Oriente, iniziata da Francesco Saverio che fu il fondatore e organizzatore di tutte le missioni dell’Est asiatico, Cina compresa, anche se morì a Sanciano nel 1552 alle soglie della Cina. A spingere il Saverio verso la Cina, fu la scoperta che i Giapponesi erano culturalmente dipendenti dalla cultura cinese. I Giapponesi al suo annuncio del Vangelo gli avevano obiettato: come mai dite che la vostra religione è vera se i Cinesi non la conoscono e non sono affatto cristiani? La missione cinese fu proseguita con tenacia dal Valignano, anche contro alcuni gesuiti portoghesi e spagnoli presenti a Macao, sulle coste Sud della Cina, che la giudicavano impossibile per il veto cinese in Cina e soprattutto alla loro residenza stabile in Cina.
La missione doveva essere apostolica: introdurre il Cristianesimo in Cina, cercando di ottenere non il solo ingresso a scopo missionario, ma la residenza stabile dei gesuiti in Cina. La motivazione, già del Saverio e fatta propria dal Ricci, è la seguente: se non si affronta il problema della cultura cinese, non si può risiede stabilmente in Cina e introdurre il cristianesimo in Cina.
Le direttive del Valignano, allora superiore dei gesuiti in Asia, dettate al Ricci, non lasciano spazio ad equivoci: imparare a parlare, leggere, scrivere in cinese; studiare usi, costumi, ordinamenti sociali e politici, cioè tutto l’insieme della cultura cinese, a partire dalla geografia; produrre opere a stampa in cinese e diffonderle. Questo era “quanto necessario per tentare l’impresa quano. Dio vorrà”.
Nel 1582 è proprio il p. Valignano a chiedergli di partire per la Cina. Ricci approda a Macao, allora possedimento portoghese sulle coste meridionali della Cina, il 7 agosto dello stesso anno. Qui inizia a studiare la lingua cinese, favorito da una memoria straordinaria. L’anno successivo fonda la prima residenza missionaria a Sciaochin con il p. Michele Ruggieri. Così il Ricci narra l’accoglienza ricevuta dal Governatore della città, Wang Pan: «(I padri) furono ricevuti con molta benignità: […] domandò loro il governatore chi erano, di dove venivano e che cosa volevano; risposero […] che erano religiosi […] attratti dalla fama del buon Governo in Cina, e solo desideravano un luogo dove potessero fare una casetta e una chiesuola […] servendo fino alla morte il loro Dio».
Magistrati e Mandarini gli mostrano la loro stima e lo stesso Governatore della città emette due editti lodandone la santità e la scienza. Tutto inizia con un orologio a ruote, «che sonava per se stesso ad ogni hora, cosa molto bella, mai vista e mai udita in Cina». Ma scienza e tecnica sono solamente dei mezzi, l’assoluto è «cercare e trovare Dio in tutte le cose». Nella sua prima città cinese, Ricci amministra il primo Battesimo nel gennaio 1584 a un infermo abbandonato; in seguito battezza un letterato, un giovane mercante, alcune donne e molti ragazzi di strada.
Dopo sei anni (1583-1589) dal suo arrivo a Sciaochin cambia il Governatore e il suo successore lo scaccia. Ma Ricci non si arrende e, nell’agosto 1589, si trasferisce a Sciaoceu. Qui fonda la seconda residenza e in seguito ad un’aggressione da parte di un ladro, rimane per sempre lesionato ad un piede.
Nel 1594 fa qualcosa di inimmaginabile per un europeo del suo tempo: inizia a vestire alla maniera dei letterati cinesi, con abiti di seta, e lascia gli abiti dei bonzi poco stimati dal popolo. Esce di casa in portantina, come usavano fare i personaggi più colti della città e si fa crescere la barba e i capelli, ma non le unghie, come avrebbe dovuto. La Cina è un altro mondo. Ricci lo capisce ed entra nel suo cuore attraverso quattro vie: la conoscenza della lingua; la comprensione della cultura e del suo complesso sistema sociale che tiene unito l’Impero; l’influenza sull’Imperatore e sui suoi Mandarini (la testa) per poter parlare a tutto il popolo (il corpo); la conquista della classe dirigente con ciò che non ha: il sapere della scienza occidentale.
Quando il Ricci offre ai mandarini orologi, prismi veneziani, cartografia e mappamondi, libri (la Bibbia Poliglotta di Aversa, rilegata in oro) stampe di città europee, dipinti con prospettiva, non faceva doni per propiziarsi amicizie, ma offriva esempi della cultura europea, fino alla geometria di Euclide e all’astronomia. Non mancarono grosse difficoltà: l’immagine del Crocifisso suscitava la reazione negativa dei cinesi, perché non era compatibile per loro con la nozione di divinità (il Signore del Cielo e dell’armonia del mondo). Così in quello stesso anno, per inculturare la fede, pubblica il Catechismo in cinese col titolo: «Vera dottrina del Signore del Cielo», per indicare Dio in lingua cinese. L’intento è chiaro: conciliare il Confucianesimo con il Cristianesimo, prendendo posizione contro il Buddismo.
Il 29 giugno 1596 apre la terza residenza missionaria a Nancian, capitale del sud della Cina. Nel 1597 è nominato Superiore della missione cinese e solamente due anni dopo, nel 1599, fonda la quarta residenza missionaria a Nanchino. Nel suo epistolario lascia scritto che «i missionari non devono avere mire di conquista politica, né legarsi ai mercanti, e che, con l’esclusione dell’intangibilità dei dogmi e della morale evangelica, devono farsi indiani in India, nipponici in Giappone e cinesi in Cina».
Nel cuore della Cina
Mancava Pechino, luogo della «città proibita» in cui viveva l’Imperatore. Prova ad entrarvi per la prima volta con padre Cattaneo e due novizi cinesi, al seguito del ministro dei Riti Wang Chung Ming, il 7 settembre 1598; ma è costretto a ripartire il 5 novembre per il sud, perché «straniero sospetto» a causa della guerra tra Cina e Corea. Riprova il 19 maggio 1600 con Diego Pantoja e altri due novizi cinesi, ma a Lintsing è fermato dal governatore di Tientsin, Mat Han, che, geloso dei doni per l’imperatore, lo imprigiona per sei mesi.
Così Ricci decide di inviare un memoriale all’Imperatore, nel quale si presenta come uno straniero religioso e celibe che «non chiedeva nessun privilegio alla corte», e domanda di poter mettere a servizio del sovrano la propria persona e quanto aveva potuto imparare sulle scienze del «grande Occidente» da cui veniva. La lettera è accompagnata da doni europei di ogni tipo: dipinti sacri, un grande atlante, prismi di vetro che riflettono la luce, clessidre a sabbia, monete d’argento europee, la riproduzione della Madonna di Santa Maria Maggiore, un clavicembalo con otto composizioni e due orologi meccanici.
Il 27 gennaio 1601 l’Imperatore lo riceve di persona; è meravigliato dei regali ricevuti e in particolare della carta del globo disegnata dal Ricci: nel 1608 ne ordina una ristampa e ne chiede dodici copie per sé. Per la prima volta l’Imperatore della Cina, grazie al gesuita, scopre l’esistenza di nuovi Paesi, Europa compresa. Come premio viene permesso al Ricci sia di risiedere a Pechino, sia di entrare periodicamente nel palazzo imperiale per assicurare la manutenzione degli orologi, in più l’Imperatore gli assegna una rendita fissa.
Il 1610 è il suo ultimo anno di vita. Dopo aver ottenuto la licenza per celebrare Messa in pubblico, inizia la costruzione della prima chiesa cristiana in stile occidentale nota come Nantung «la chiesa del sud». Il 3 maggio 1610 il p. Ricci si ammala gravemente e annunzia con molta pace che non sarebbe più guarito. Muore per le troppe fatiche nella residenza missionaria di Pechino l’11 maggio. Nella più antica biografia, scritta dopo soli cinque anni dalla morte, si legge: «chiudendo egli stesso gli occhi come per conciliarsi il sonno, s’addormentò dolcissimamente nel Signore».
Passa alla storia per essere stato il primo non cinese ad essere sepolto nella Città Proibita dall’Imperatore Wan-Li. Quando muore, Ricci, conosciuto dai cinesi col nome di Li Matou o Li Madou (il Saggio d’Occidente) non ha ancora compiuto 58 anni.
La sua eredità per la missione oggi
In 25 anni di missione Ricci converte e battezza circa 2.000 cinesi, per lo più buddisti. Al suo p. Generale Acquaviva, scrive: “Ho annunciato il vangelo in Cina a milioni di cinesi”.
Ricci ha pensato alla sua missione e ai suoi esiti sul lungo periodo in base alle direttive avute e praticate. Una proposta del vangelo per la libertà dei cinesi, previo il libero e rispettoso scambio culturale che lasciava tempo a entrambi di mettersi in discussione, o di aprire discussioni con l’altro, prendere decisioni libere e mature.
Come ha recentemente sottolineato il gesuita, p. Giuseppe Pirola, “indipendentemente da quanto pensava il Ricci, egli aprì la via conseguente al metodo dello scambio culturale libero e pacifico, rispettoso delle differenze culturali, e della libertà dei cinesi, che avrebbe indotto quella mutua trasformazione che alla lunga avrebbe portato a un cristianesimo nuovo per entrambi”.
Già un cristianesimo pieno di vita perché arricchito di un ossigeno lontano. Questo è il modo di evangelizzazione altrimenti come spesso capita anche oggi, i missionari arrivano in paesi stranieri e predicano immediatamente il vangelo poi conoscono la cultura. Si pensi all’Africa e all’est asiatico dove la missione da esiti minimi. Ricci invece ci ricorda di centrarsi su uno scambio culturale che rispetti libertà e autonomia di conversione a lunga scadenza.
Solamente la mutua trasformazione indotta da uno scambio culturale pacifico e libero apre la pista a un Cristianesimo nuovo, veramente cattolico, che non è un prodotto di esportazione né è chiamato a omogeneizzarsi. È dall’incontro, che fa rinascere uomini diversi che si potranno costruire modelli ecclesiali diversi e diversificati, lasciati al loro libero e autonomo sviluppo sotto l’unica regola della parola di Dio e dello Spirito, conforme alla missione del regno di Dio, proposta da Gesù Cristo.
Non va nella linea di sviluppo del progetto missionario del Ricci, o nella linea della fondazione di una Chiesa cattolica cinese, chi intende che lo scopo dell’azione missionaria sia la diffusione della religione cattolica e non l’annuncio del Regno di Dio, che non coincide con l’espandersi della Chiesa romana.
Nel passato della missione di Ricci c’è un futuro per la chiesa di oggi.
Estratto dalla rivista Vita e pastorale, 4 aprile 2010.