“Si cercano uomini che sappiano dare ragioni per vivere, perché in questi luoghi si apprezza meno il sapere e molto più la vita” (Francesco Saverio)…
La vita di Francesco Saverio è la storia di un lungo viaggio… è a Lui che Papa Francesco pensa quando chiede di andare alle periferie del mondo e stare tra la gente.
Saverio spende dieci anni della sua vita in Asia, di questi ne passa almeno cinque in navigazione o aspettando di imbarcarsi, percorre qualcosa come 63.200 km, al punto che molti biografi lo considerano un piccolo san Paolo.
Ma il viaggio più affascinante che percorre il Saverio è quello interiore. Il suo cammino lo porta ad uscire da se stesso per giungere alla soglia del faccia a faccia con Dio per riconoscere il fondamento della sua identità nel volto delle migliaia di persone incontrate.
Per la sua testimonianza, nel 1927 la Chiesa lo ha proclamato patrono delle missioni nel mondo insieme a Teresa di Lisieux.
Siamo nella prima metà del XVI sec. e Francesco si trova all’università Sorbona di Parigi, il centro della cultura europea. Si sta preparando per “guadagnare il mondo intero” e diventare uno dei protagonisti della sua terra, la Navarra. È un giovane colto e ricco, affascinante e sempre sorridente.
Un suo biografo, il padre Teixeira, lo descrive così: “Il padre Maestro Francesco era di statura più grande che piccola, il viso ben proporzionato, bianco e colorito, allegro e di assai buona grazia; gli occhi neri, la fronte ampia, i capelli e la barba neri”.
In quegli anni era in corso un cambiamento epocale. Il Medioevo lasciava spazio alla modernità, i Musulmani si stavano espandendo nelle terre evangelizzate da san Paolo, Lutero era stato scomunicato da Leone X il 3 gennaio 1521 con la bolla Decet Romanum Pontificem.
Come spesso capita nella vita in cui ciascuno diventa le persone che incontra, anche per il Saverio è determinante un incontro, quello con Ignazio di Loyola. Di lui, Ignazio confiderà: “È stato il più duro pezzo di pasta che abbia avuto da impastare”. Con Ignazio, Francesco ed altri otto compagni nasce la Compagnia di Gesù che ancora oggi conta circa 19.000 gesuiti sparsi in più di 135 Paesi nel mondo.
La Compagnia di Gesù e gli altri nuovi ordini religiosi di “chierici riformati”, nascono in questa era del Rinascimento come dono alla Chiesa nel contesto del grande movimento culturale che scuote tutte le dimensioni dell’uomo europeo, da quelle etiche, politiche, artistiche, a quelle morali, religiose e soprattutto scientifiche.
I gesuiti fanno di Gesù il centro e lo scopo della loro vita, cercano di imitarlo nella sua vita e nella sua morte; desiderano lavorare con lui nella vita apostolica e servirlo nella missione con la maggiore dedizione possibile, a costo di ogni sacrificio, fino a quello della vita; si inseriscono nel movimento culturale del tempo non soltanto come studiosi di filosofia o di teologia o come promotori di scuole per i giovani, ma anche come artisti e scienziati.
La vita del Saverio rimane un esempio incomparabile di primo gesuita missionario. Egli non si risparmia in nulla, al punto che arriva a scrivere: “Mi sento confuso quando, in mezzo ai più grandi disagi e pericoli, mi tocca [per il Signore] perfino piangere di consolazione e di gioia”. Accompagneremo dunque il Saverio nel suo viaggio per comprendere i tratti principali della sua storia e le caratteristiche della sua vita.
Il profilo umano e spirituale di Francesco Saverio
Per comprendere la persona di Francesco sarebbe un errore soffermarci e stupirci solamente per i suoi viaggi, per quanto siano stati al limite dell’umano. L’ideale sarebbe che ciascun lettore si immedesimasse e lo accompagnasse lungo il suo viaggio interiore segnato da tre grandi tappe: Parigi, Roma e San Thomé di Maliapur.
La prima tappa è quella della conversione. In questo tempo troviamo l’uomo colto e nobile che vince i suoi vecchi sogni, è attratto dalla vita del Signore, vuole essergli grato per ciò che ha fatto per lui seguendolo come gesuita. Si sente chiamato a scegliere tra cosa è il bene e cosa è il meglio nella sua vita.
La seconda è la tappa dell’ignoto. Scopriamo l’uomo che ha fiducia, che nel suo entusiasmo dimentica se stesso e obbedisce all’invio in missione. Lo fa senza discutere, si affida solamente al Signore, crede alla volontà di Dio vivendo la sua obbedienza. È la tappa in cui decide di fare un salto nel buio senza sapere cosa incontrerà.
La terza tappa è quella dell’abbandono. Deve abbandonare le Indie perché si sente spinto da un desiderio che lo proietta più in avanti. In questa tappa lascia il noto per l’ignoto, un buon successo apostolico per iniziare tutto da capo.
Di lui rimangono tre immagini da contemplare: quella della sua partenza per le Indie con il solo viatico del breviario e una piccola croce; la seconda mentre battezza; la terza quella che lo ritrae sorridente insieme a tanti bambini, attratti dalla sua campanella mentre recitano o cantano per le strade le preghiere del catechismo.
Ma il Saverio non nasconde anche la sua parte affettiva, ciò che lo lega ai suoi confratelli che ha lasciato in Europa. Per tenerli sempre nel suo cuore porta al collo un reliquiario contenente la firma di Ignazio e degli altri compagni, una reliquia di Tommaso apostolo e la formula della sua professione. A questo proposito scrive: “E affinché io non mi dimentichi giammai di voi altri, sia mediante un assiduo e particolare ricordo sia per mia gran consolazione, vi faccio sapere, carissimi fratelli, che dalle lettere che mi avete scritto ho ritagliato i vostri nomi, vergati dalla vostra stessa mano e, insieme al voto che feci della mia professione, li porto sempre con me per le consolazioni che ne ricevo”.
Attraverso la preghiera stabilisce con i gesuiti che ha lasciato a Roma un legame unico carico di affetto: per lui la Compagnia era una “Compagnia d’amore: mi sembra che Compagnia di Gesù vuol dire compagnia di amore e di concordia degli animi, e non di rigore e timore servile”.
Nel profilo del gesuita contenuto nelle Costituzioni della Compagnia di Gesù emerge in parte anche il suo ritratto: la ricerca della maggior gloria di Dio e non di se stesso, l’esercizio dei lavori umili, l’obbedienza generosa, la vittoria su tutte le paure, la predicazione semplice, l’attenzione ai più poveri e diseredati, il sentire in ogni momento qual è la volontà di Dio per compierla con gioia ed essere uno strumento nelle sue mani.
Lo guida un insegnamento attribuito ad Ignazio: “Fare come se tutto dipendesse da Dio e, nello stesso tempo, agire come se tutto dipendesse da me”.
Fu definito “il divino impaziente”. Il suo temperamento era sanguigno, carico di ottimismo, capace di piangere per la solitudine e l’amarezza, ma pieno di coraggio e di fiducia. Puntava sulla conversione delle persone con responsabilità sociale e politica perché a loro volta donassero ciò che avevano ricevuto.
Era tutt’altro che ingenuo: accettava i sussidi del Re del Portogallo come prete del patronato, perché gli permettevano di fondare nuove missioni. I suoi collaboratori voleva che fossero uomini provati, fedeli nelle piccole cose perché solo così potevano essere pronti per affrontare le dure prove della missione.
Dalle lettere di Saverio traspare che il suo apostolato lo svolge in maniera semplice, umile, col volto sorridente o, come dice un’antica fonte, “con la bocca piena di riso”.
Tuttavia, il suo stile di gentiluomo affabile, comprensivo e rispettoso delle persone non nasconde la severità verso se stesso. Si racconta l’episodio di quando volendo punirsi, si legò con funicelle a nodi le braccia e le gambe, per sentirne dolore ad ogni movimento. Insisteva e si sforzava di camminare normalmente finché un giorno cadde a terra a causa del dolore lancinante per quelle funicelle che ormai avevano corroso la carne piagandola. Il chirurgo che lo visitò, esaminate le piaghe profonde e inasprite dichiarò che non poteva far nulla senza sfiorare il pericolo di farlo morire ma, durante quella notte, inspiegabilmente Francesco guarì.
Quanto alla preghiera e alla sua unione mistica con Dio abbiamo invece varie testimonianze, ma valga per tutte quella del p. Teixeira che lo aveva conosciuto a Goa: “Il padre Maestro Francesco era molto dedito all’orazione mentale e alla meditazione delle cose divine, soprattutto di notte, quando non era visto e le occupazioni del prossimo gli davano spazio e così accadeva alcune volte che, se si alzavano di notte e lo cercavano, lo trovavano in preghiera come gli è capitato qui a Malacca, nelle Molucche e a Comorin e a Goa”.
Scrivendo ai suoi compagni di missione, li sprona alla santità della vita che ha il suo fondamento nell’umiltà: quell’umiltà vera però, che si esprime nella diffidenza per le proprie forze e nella fiducia nel Signore in mezzo alle difficoltà e ai pericoli. Ma c’è di più. Vuole che i suoi confratelli si modellino su questo stile: “Converserete con tutti con volto allegro, non vergognoso né arcigno, perché, se vi vedranno severo e triste, molti tralasceranno, per timore, di giovarsi di voi: siate per tanto affabile e benigno, e in particolare le ammonizioni siano fatte con amore e garbo”.
L’abilità nel costruire relazioni di amicizia si dimostrava ancora più creativa quando si trattava di qualcuno che era smarrito: “Quanto più sapeva che la persona con cui stava era un peccatore, tanto più lo frequentava e mangiava con lui”. Ai suoi confratelli Saverio raccomandava: “Conversate con i peccatori, facendo che si aprano con voi. Questi sono i libri vivi con i quali avete da studiare, così per pregare come per vostra consolazione”. Ai suoi collaboratori insegna a conoscere e ad arricchirsi dei “libri vivi” che sono esistenze gli uomini che si incontrano nella vita.
Rimane famosa una sua frase: “Non per la paura dell’inferno, ne per la speranza del Paradiso, ma per come mi hai amato, io ti amo”.
Dal Volume: Francesco Saverio. Il gesuita patrono delle missioni. Velar-Elledici
Cronologia della vita di Francesco Saverio:
1506 Francesco Saverio nasce il 7 aprile nel castello di Javier nella Navarra.
1525 A 19 anni si trasferisce a Parigi per studiare all’università Sorbona.
1530 Si laurea in Arti.
1534 Insieme ad Ignazio e ai primi compagni gesuiti fa la sua professione religiosa nella chiesa di Montmartre.
1535 Fa gli esercizi spirituali guidato da Ignazio di Loyola e consegue il titolo di Magister Artium.
1537 Arriva a Venezia l’8 gennaio.
1537 È ordinato sacerdote a Venezia il 24 giugno, il 30 settembre celebra la prima Messa a Vicenza
1538 Soggiorna a Bologna e successivamente raggiunge Ignazio a Roma, dove riceverà la missio per le Indie.
1540 Il 15 marzo parte per Lisbona.
1541 Il 7 aprile salpa da Lisbona con la flotta portoghese.
1542 Dopo una tappa in Mozambico, giunge a Goa il 6 maggio.
1548-49 Fonda collegi e residenze a Cochin e Bessein.
1545 Prega davanti alla tomba di San Tommaso. Si dirige a Malacca.
1549 Il 15 agosto entra in Giappone.
1550 In agosto parte per Miyako (Kyoto) sede della corte imperiale.
1551 Entra in Miyako, ritorna a Yamaguchi, si reca nel regno di Bungo e va a Goa. Tenta di entrare in Cina.
1552 Il 3 dicembre muore nell’isola di Sanciano.
1622 È canonizzato il 12 marzo, insieme a Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Filippo Neri e Isidoro l’agricoltore.
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