Quest’anno si celebra un anniversario importante, quello dell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, pubblicata l’11 aprile 1963.
Il suo nascere fu il prodotto di alcune forti prese di posizioni della Chiesa del Novecento contro la guerra. Ricordiamo la Lettera ai capi dei popoli belligeranti (1° agosto 1917) e l’enciclica Pacem Dei (23 maggio 1920) di Benedetto XV; l’enciclica Ubi arcano (23 dicembre 1922) di Pio XI e i radiomessaggi natalizi di Pio XII, in particolare quello del 1941.
Fu un atto di coraggio della Chiesa che senza indugio ha voluto affermare al mondo il dono della pace e la condanna della guerra.
Il clima era molto duro: nel 1961 l’erezione del muro di Berlino; nel 1962 scoppia la crisi di Cuba, quando l’installazione di missili sovietici aveva portato il mondo a un passo da un conflitto nucleare.
In quegli anni il concetto stesso di guerra cambia: la guerra moderna, non può più giustificare la dottrina della guerra giusta elaborata per limitare la guerra… anche se il magistero non ne ha mai parlato ufficialmente.
Per la Chiesa nella storia le tre condizioni per il bellum justum, che avevano il fine di limitare la guerra erano:
1) l’auctoritas principis, la guerra doveva essere dichiarata dall’autorità legale;
2) la iusta causa, la guerra doveva essere dettata da una giusta causa;
3) la recta intentio, la guerra doveva perseguire il bene e sconfiggere il male; 4) la difesa non sia sproporzionata all’attacco subito .
Oggi sono nati altri tipi di guerra: c’è la guerra alimentare, quella monetaria, quella dei migranti, ecc. Anzi il nuovo nome della guerra è la violenza. Ma una condizione rimane ferma: la dimensione della pace.
Papa Giovanni quando parla della guerra, non costruisce affatto una casistica per determinare se la si può giustificare nel caso in cui le circostanze obbligassero a farla. Preferisce invece partire dalla pace, «anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi» (n. 1).
L’impronta personale di Giovanni XXIII è particolarmente evidente nell’ultimo capitolo (V) dedicato ai «Richiami pastorali», dove si affrontano i rapporti fra cattolici e non cattolici nell’azione sociale (nn. 82-85), sulla possibile cooperazione tra cristiani e non cristiani.
Il punto culminante, probabilmente l’apice di tutta l’enciclica, rileva una crescente distinzione tra le ideologie, «false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo», e i «movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche» (n. 84).
La pace attraverso il rispetto dell’ordine stabilito da Dio
Per Giovanni XXIII Dio è il fondamento di ogni ordine morale che costruisce strutture politiche e sociali.
Su questo poggiano i diritti della persona (cap. I), che sono la base su cui è costruito l’edificio del documento: «Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche» (cap. II),
«Rapporti fra le comunità politiche» (cap. III),
«Rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale» (cap. IV).
All’interno di questo schema relativamente semplice, papa Roncalli afferma che la pace ha molteplici dimensioni, dalle relazioni individuali fino a quelle internazionali.
La pace non è perciò soltanto uno stato dei rapporti fra Paesi: concerne tutti i livelli dell’esistenza sociale, fino alla dimensione intima di ogni persona. Ciò lo porterà a parlare di un «disarmo integrale» che investe «anche gli spiriti» (n. 61).
L’enciclica ribadisce le condizioni che rendono possibile la pace: un preciso ordine nell’universo e nella società, i cui quattro principi fondamentali sono verità, giustizia, amore e libertà.
La pace non è soltanto assenza di guerra, ma è un insieme di relazioni positive tra gli individui e tra le comunità.
Il Papa non impone un ordine morale fisso ed eterno: spiega le condizioni, le basi morali della vita individuale e collettiva, e le propone a ogni uomo di buona volontà.
Tra i temi più importanti troviamo :
1) I diritti dell’uomo. Il testo riprende i punti più importanti della Dichiarazione universale dell’ONU del 1948.
2) Il disarmo. Fonda l’argomentazione sulla ragione, ma anche sulla convenienza: che cosa potrà portare la guerra se non distruzione? Esorta a un esame approfondito di un equilibrio internazionale autenticamente umano.
3) Le istituzioni internazionali. Nella tradizione che prende avvio dal teologo spagnolo Francisco de Vitoria (XVI secolo), poi precisata dal gesuita Taparelli d’Azeglio (XIX secolo) e da Pio XII, Giovanni XXIII si basa sulla necessità di un ordine morale che tuteli il bene comune dell’umanità per richiedere la costituzione di un’autorità pubblica avente competenza universale.
Tra gli impegni in campo internazionale in favore della pace la Chiesa si sta prodigando per investire in formazione, favorire le politiche di riduzione degli armamenti e promuovere la riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Molto interessante caro Francesco!